Parola semplice e intensa la sua, capace di far leva anche sul bagaglio storico e affettivo delle persone attraverso le tradizioni
di Olga Chieffi
Non è facile parlare di malattia, morte e lutto, sovviene alla memoria, in questo giorno “Diceria dell’untore” di Gesualdo Bufalino. Il suo linguaggio è quello della Sicilia barocca, dove, tra una chiesa maestosa e lucente e un vicolo malfamato e oscuro, si incrociano continuamente vita e morte, dando origine a manifestazioni collettive di inalterata attrattiva e complessità. La malattia e la morte sono raffigurate come elementi caratteristici della condizione umana. La malattia sembra quasi essere testimonianza visibile di una differenza interiore, “Non stigma ma stemma”. La morte, pur concepita come scandalo che interrompe il cammino, mistero che affascina ma che insospettisce per via della sua impenetrabile oscurità, offre all’uomo la possibilità di un confronto che lo coinvolge in tutta la sua complessità, che non ammette scorrettezze. In questo stordente abbrivio di primavera è mancato ai vivi, Don Franco Fedullo. In tempi “usa e getta” – anche la coscienza e i sentimenti, disvivere più che vivere -, ossia la vita quotidiana intesa quale consumo veloce, consunzione oscura, spendita e ricarica inerti, abbandono, cieca soddisfazione, sopraffazione, una parola, il sorriso di Don Franco, potevano assolverti e redimere. La comunità parrocchiale e non solo, poiché in tantissimi hanno cercato e trovato la parola salvifica di Don Franco, vera, perché semplice, si è stretta in preghiera, ha pensato, ha voluto, ha sperato in queste giornate infinite. E’ stato amato Don Franco, poiché la sua missione è stata piena, per avvicinare, convertire, conquistare sempre nuove menti alla comunità. Tanto ha ottenuto anche giocando sul bagaglio storico ed affettivo dei salernitani, quello delle antiche e sentite tradizioni, che sfociano anche nel profano, a cominciare dal rito della benedizione degli animali del 17 gennaio nel giorno di Sant’Antuono. Spesso ricordava un’affermazione di Giovanni Paolo II che recita: “C’è nell’uomo un soffio, uno spirito che assomiglia al soffio ed allo Spirito di Dio. Gli animali non ne sono privi”. Poi, accoglieva tutti gli animali, presentati dai loro tutori, non padroni, poichè la natura insegna solo se trasferita nella zona “crepuscolare” della memoria, e sa di non dover mai svelare l’enigma del soffio di vita degli animali, di non sollevare il velo di un passato già violato, per salvarlo da sguardi di occhi che non sanno più vedere. Un’altra tradizione cui teneva Don Franco era quella del Giovedì Santo, la visita agli altari della Reposizione. Sull’imbrunire, le famiglie unite escono di casa per questa lunga passeggiata nel nostro centro storico, una riconciliazione, con i tempi, i luoghi, i profumi di una città fatta a misura d’uomo. Il numero sette, le sette madonne della Salerno longobarda, sette le spade dell’Addolorata, ci ha sempre portato ad entrare in San Domenico, ove si viveva una atmosfera altra, calda, con i parrocchiani presenti e compresi del momento che si stava vivendo, insieme al loro parroco, con riflessioni intense e l’altare addobbato con i fiori simboli di rinascita, interamente dedicati alla ricerca della Luce, le reti, a perpetuo ricordo di un Gesù Pescatore di anime, la grande speranza della Chiesa. Oggi saremo ancora lì, in cattedrale, per il saluto terreno, la liberazione del corpi, in un clima commovente e malinconico, in cui percepiremo la terra, il terreno, come un principio di assorbimento e, insieme, di nascita: abbassando, si seppellisce e si semina, e, nel medesimo tempo, si dà la morte per, poi, ridare nuova luce, nuova vita. Sull’affiorare insistente, sottile e nostalgico di emozioni, colori, profumi, vivificati dall’ascolto di una specie di racconto, un filo di storia breve e pur intenso, “pieno”, oggi reso disperato, e insostenibile, i fratelli Nello e Vito, la famiglia e l’intera comunità salernitana, dall’agire quieto, incessante e inesorabile, delle grandi leggi di natura, capaci di svelare il segreto di quell’anima senza tradirla, gettandovi soltanto un raggio di luce obliqua, scopriamo dentro di noi una nuova, particolare qualità d’animo, un patrimonio di sentimenti e valori ricchissimo, quell’educazione all’Amore che Don Franco, col suo esempio, nel suo passaggio terreno è riuscito a trasmetterci.s modi tempora in, quia do