di Alfonso Gatto
..San Liberatore senza cappuccio significava e significa per i sa- lernitani bel tempi, tempo da scampagnate e da lunedì dell’An- gelo. Da via Spinosa a Canalone, alla Croce, a San Liberatore, i ragazzi che bigiano la scuola sanno d’incontrare solitudine e si- lenzio. Una volta lassù, la città imminente è pur così lontana e il mare fermo come nell’Estaque di Cézanne tien duro la cerchia az- zurra e leggera dei suoi monti da Capo d’Orso alla punta di Agro- poli. Alle spalle, sul versante di Alessia e di Marini, la strada scende umana e tranquilla a avvicinare, uno dopo l’altro, paesi raccolti in- torno al florido androne della chiesa e del campanile, salvi ancora nel loro carattere di agreste neoclassico che dà a ogni casa l’agio e lo spicco di una dimora. Un’aria ottocentesca ove la borghesia di fine secolo amò ritrovarsi come a un punto d’incontro fra le due vecchie città del reame, vive ancora per queste campagne, anche se le ville son passate di mano e ai medici e agli avvocati post bor- bonici son succeduti mercanti e bottegai che a poco a poco hanno tolto il verde alle finestre e i busti di marmo ai belvedere. In questa geo- grafia e in questa storia è accaduto il nubifragio. Se aggiun- gete che con i suoi monti, ancora avanzando per la sella di Chiunzi, l’Appennino digrada e precipita al mare su Maiori e su Minori, sug-
gellando all’ameno retroterra la roccia pura delle sue ultime selve di pietra, avrete chiaro il paesaggio ove i figli del sole sono stati portati via dalla pioggia, aprendo l’uscio di casa sull’abisso. La sera del 25 ottobre San liberatore s’era tirato sul capo il cappuccio nero. Il priore don Luigi era morto da un pezzo per poter avvertire i fe- deli che s’annunciava la malanotte. Proprio la chiesa dell’Annun- ciata e la vecchia strada di Porta Catena, fiancheggiata da vicoli saraceni e una volta abitata da piccoli pasticcieri scomparsi col tempo, sono intasate di fango. Nell’aria verde e cerca della basilica gli scavatori di fortuna col berretto in testa aprono un varco alle acque. Si passa rasentando con la testa le soglie dei balconi e le in- segne. Qui c’era il deposito dei tabacchi e, più in là, verso i giardi- netti di piazza Luciani, il panificio dei soldati a sera odorava come una casa di campagna. Qui i morti a braccia aperte, sulla deriva del fiume che ha rotto di sotto in su la strada di Fusandola o pre- cipitati con le case dal salto della Spinosa, sì sono fermati contro gli alberi, contro i portici del teatro, facendosi raccogliere e com porre nella grande pietà delle prime ore».
*(«Doloreperlamiaterra»scrittidiAlfonsoGatto raccolti da Francesco D’Episcopo ed. Avagliano





