L’eredità di Sergio Vecchio - Le Cronache
Spettacolo e Cultura

L’eredità di Sergio Vecchio

L’eredità di Sergio Vecchio

Di Olga Chieffi
Ci ha dato l’idea di una miniatura d’eternità la retrospettiva, curata da Gabriella Taddeo, dedicata a Sergio Vecchio scomparso nel febbraio di sei anni fa, ospite del Complesso di San Michele, che ha vissuto il suo finissage domenica scorsa. Sergio, figura ecclettica, il quale ha saputo sintetizzare nelle sue opere una pluralità di anime creative che si estendono dalle arti visive (pittura-grafica) alla scultura alla ceramica fino alla scrittura, ne ha avuto diverse e di diverse generazioni, accanto che hanno scientemente animato questi tredici giorni di esposizione. “L’impronta dorica nel segno contemporaneo” si è rivelata una mostra “interminabilis vitae tota simul et perfecta possessio”, secondo la glossa di Severino Boezio. Di questa eternità noi conosciamo una “miniatura”, che il presente delle arti della loro visione, del loro ascolto, del loro “fare” esemplificano nella sua pregnanza. Dinanzi ai quadri di Sergio è cominciata quella meditazione, con quell’appuntamento così spesso mancato che abbiamo con la realtà, dunque, nella tonalità un po’ angosciosa dell’azione e delle sue inadeguatezze, come di quelle della decisione e della scelta o anche soltanto dell’attenzione e della presenza di spirito e di sentimento, che troviamo nei quadri, nelle carte siciliane, esposte, nel pannello ritrovato donato alla Carisal, anima della retrospettiva, e si conclude nella tonalità a volte contrastata, a volte serena della contemplazione, di cui la visione, prima di Sergio, quindi nostra, è paradigma, con il suo tempo sospeso, sottratto alla cura, all’interesse, al piccolo io, ai suoi trascorsi e ai suoi progetti, partendo dalla capanna si vetro in Paestum, ove si sosta sulla soglia di una simultaneità senza durata, quasi la promessa di un accordo di pienezza e desiderio. Queste le ragioni del video di video ideato da Viviana Vecchio sulla base di sette video precedenti, testi e immagini dell’archivio dell’artista montati ed assemblati da Elpidio Sorbo. Il tempo della musica vissuta ha permesso ai maestri e agli allievi di ripercorrere, insieme al pubblico, di suggerire una narrativa sonora, riordinante le coordinate di appartenenza, calandosi, così, nel meraviglioso e nel mito evocato da Sergio, in cui il passato torna come un’immagine esplosiva, carica di un tempo capace di far deflagrare il presente, proponendo non tanto una storia rassicurante, quanto un lampo che ponga sotto una luce inedita una costellazione esistente, permettendole di sfuggire dalla prigionia del senso comune. Sergio maestro d’amicizia e per lui si son ritrovati a far musica docenti e allievi del liceo Musicale Alfano I, a cominciare dal Maestro Antonio Rufo al corno inglese in duo con il suo allievo Giusepe Feraru all’oboe, interpreti di una trascrizione particolare della Sonata in La minore di George Philippe Telemann TWV 41a3 per Oboe e basso continuo, una prima assoluta, in cui la formazione è risultata molto equilibrata e attenta latrice di una corretta restituzione stilistica, accompagnando per mano l’ascoltatore alla scoperta di questo prezioso repertorio e del suono antico della doppia ancia. La serata era iniziata, però, con lo squillo della tromba del Maestro Raffaele Alfano, evocando quel “Venite, venite a vedere” e l’arrivo di Dulcamara nell’Elisir d’amore. Poi, sotto una carta di siciliana, rappresentante proprio una tromba, Alfano ha impugnato il flicorno soprano per elevare il love theme della Leggenda del pianista sull’Oceano di Ennio Morricone, con la sua malinconia pensosa, offerto di toni caldi e scuri dello strumento. Poco più avanti l’handpan del Maestro Gerardo Avossa Sapere, che con il suono ha incarnato “Il viaggiatore senza tempo”, richiamando sonorità antiche ed emozionali, creando un’atmosfera onirica, carica di vibrazioni e universalmente poetica. Tra gli uccelli di Sergio non poteva non esserci il flauto. Ancora un Maestro, Antonio Senatore, e l’allievo, Mario Montani, al quale sono stati affidati i due soli, Syrinx di Claude Debussy e il funambolico Voliére di Camille Saint-Saens da Le carnaval des anìmaux. Virtuosismo spinto, bel suono, attenzione alla “pronuncia” di ogni nota, la caratteristica della nostra scuola di fiati e che a Salerno conta un passaggio di consegne da Maestro ad allievo da oltre un secolo. Mario Montani che è depositario di questi segreti, ci ha restituito le due pagine con lucidità ed espressività lussureggiante come conviene senza mai dimenticare il retaggio post-romantico ed impressionista, immerso in sonorità molto suggestive, prima di incrociare il suo maestro e dedicare quattro numeri dal Die Zauberflote di Wolfgang Amadeus Mozart, caratterizzati da sonorità luminose e giocose, sino allo sbalzo furioso e malinconico della Regina della Notte. Chiusura delle performances musicali con le apollinee corde del violinista Luca Gaeta in duo col violoncellista Mauro Fagiani, per l’esecuzione di un florilegio di pezzi, dalle 15 invenzioni a due voci, BWV 772-786, di Johann Sebastian Bach dalle quali i due strumentisti hanno scelto tre invenzioni e due fughe, ponendoci di fronte ad un Bach sicuramente poco virtuosistico, interpretato con grande forza comunicativo e nel grande rispetto della bellezza di ogni pagina, trovando il difficile equilibrio tra un ascetismo intellettuale cui per natura inclina ad una rara finezza introspettiva.
Successo anche per l’altra serata della quale sono stati protagonisti Marco Vecchio, voce e Flavio Erra al basso, un viaggio nei versi di Sergio Vecchio tra mito e memoria, gli oracoli della sua pittura. Coinvolte anche le scuole: le classi IV e V D del Liceo Linguistico Alfano I, hanno presentato un breve video sulla scrittura di Sergio Vecchio e sui suoi esperimenti narrativi (in Dorico, Argo, L’Officina del marinaio, La sconfinata solitudine), mentre il Sabatini-Menna, partendo ha realizzato una struttura tridimensionale costituita da un fondale di tela dipinta con acrilici e sagome in compensato.