Le mani del clan Cuomo sui fondi Covid e immigrazione clandestina - Le Cronache
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Le mani del clan Cuomo sui fondi Covid e immigrazione clandestina

Camorra da esportazione, le mani del clan dei Cuomo di Nocera Inferiore sui contributi covid e l’immigrazione clandestina. Proventi poi trasferiti a Nocera Inferiore per l’acquisto di armi e droga per fronteggiare il clan rivale di Piedimonte.  Quartier generale della cosca dei Cuomo un locale di Firenze, “Pizze, cozze e babà” salito alla ribalta della cronaca nel febbraio scorso per una faida tutta nocerina. Diciassette indagati, dieci di Nocera Inferiore, di cui 13 ieri raggiunti da misure cautelari eseguiti da Guardia di Finanza e Polizia di Stato su disposizione dell’Antimafia toscana. In carcere sono finiti Michele Cuomo, Luigi Cuomo,  Domenico Rese (di Cava de’ Tirreni), Filippo Boffardi, Gennaro De Prisco, Sabato Mariniello (residente a Castel San Giorgio), Luigi D’Auria (questi ultimi due appartenenti al clan rivale e autori del’attentato alla pizzeria). Domiciliari per Vincenzo Rufolo (di Salerno), Michele Cuomo junior (figlio di Luigi) e Umberto Riccio. Interdittiva per i commercialisti Alessandro Maltinti (di Prato)e Saverio D’Antonio (di Nocera Superiore). Indagati a piede libero Anna Fedele (madre dei Cuomo), Diodato Civale (di Nocera ma residente a Latina), Luigi De Rosa, Antonio Tegolo (di Battipaglia) e Shain Khazi del bangladesh residente in Toscana. Il gip presso il tribunale dei minorenni di Firenze, Eugenia Di Falco, su richiesta del procuratore capo della Procura della Repubblica presso il tribunale dei minorenni, Antonio Sangermano, ha inoltre disposto la misura del collocamento in comunità nei confronti di un minore. Sequestro preventivo di conti correnti e somme di denaro. Le accuse vanno dai furti al riciclaggio, passando per reati contro l’Amministrazione, violazione della norma anti clandestini, detenzioni di armi. Promotori secondo la Procura fiorentina i fratelli Cuomo. Luigi avrebbe preso soldi fornendo carte false per ottenere soldi ed aprire la pizzeria a Firenze, in zona Leopolda. “Pizza, cozze e babà” era stata acquisita nei giorni segnati dall’inizio della pandemia da Covid19. Gli investigatori hanno accertato che la licenza commerciale del pubblico esercizio era stata ottenuta attraverso la presentazione di una falsa dichiarazione dei requisiti di onorabilità del richiedente (Luigi Cuomo), non posseduti da quest’ultimo in quanto già destinatario di una misura di prevenzione personale a suo tempo adottata dal tribunale di Salerno In quella pizzeria venivano assunti, dietro compenso da 1500 euro a testa, anche  immigrati con fittizi contratti di lavoro e fargli ottenere il permesso di soggiorno. All’interno di quella pizzeria il gruppo si recava per stoccare e ricettare il provento degli illeciti. La stessa attestazione falsa era stata utilizzata affinché la società di gestione della pizzeria riuscisse ad ottenere indebitamente contributi a fondo perduto e finanziamenti con garanzia statale per 32mila euro, sfruttando le previsioni normative previste dall’emergenza per Covid 2020 in tema di misure a sostegno delle imprese in difficoltà. L’attività investigativa ha impedito che l’organizzazione potesse ottenere ulteriori erogazioni garantite per circa 90mila euro già richiesti a due distinti Istituti di credito. I proventi delle attività illecite erano reinvestiti, sia a Firenze che a Nocera Inferiore, Salerno, e autofinanziavano il nuovo clan camorristico locale impegnato in una faida con quello rivale, la cui violenta escalation era stata accertata nel corso delle indagini e aveva preso avvio all’atto dell’uscita dal carcere del capo clan Michele, fratello del gestore della pizzeria fiorentina, avvenuta nel dicembre dello scorso anno. Le numerose ritorsioni tra i gruppi malavitosi hanno interessato anche l’area fiorentina. I componenti del gruppo avverso, infatti, inviarono a Firenze alcuni sodali che piazzarono una bomba carta nei pressi della pizzeria.  Ma in quel momento la famiglia Cuomo era già monitorata con intercettazioni ambientali e telefoniche e i due ‘guaglioni’ del clan rivale autori dell’attentato furono individuati e seguiti dai carabinieri e dalla polizia stradale nel loro tragitto di ritorno a Nocera Inferiore.

IL BOSS MICHELE CUOMO TEMEVA DI ESSERTE UCCISO DAI RIVALI

 Michele Cuomo ha timore di essere ucciso dal clan rivale di Piedimonte e ne fa parola con il fratello Luigi. “Non devi temere che vengono a casa, da anni non esiste che qualcuno si presenti alla presenza dei figli per spararti”. Luigi Cuomo lo rassicura e poi precisa a Domenico Rese in un’intercettazione ambientale che il fratello ha una pistola nel suo appartamento. “Gli ho detto Michele, ma che ti vengono a uccidere. Non sanno che un cristiano ha una pistola a casa. Tu lo faresti sapendo questo?”. Una guerra tra i Cuomo e quelli di Piedimonte che si vuole combattere senza esclusione di colpi. Sia con le pistole che con le bombe.  In un’altra conversazione Michele Cuomo Junior parla di Filippo Boffardi come un “porta guai”, accusandolo di negligenza nel tenere la pistola… Pistole che Luigi Cuomo a dicembre 2020 avrebbe dovuto portare da Firenze a Nocera ma che ha paura di farlo. “Lui (Michele, ndc) mi chiede certe cose, che io  devo mettere in una macchina gialla… Mi devo mettere nella macchina e poi mi devo fare Natale carcerato.. Perchè devo portare a fare questo”. Si capisce, scrive la Dda, che queste “cose” debbano essere consegnate a qualcuno dissentendo su quanto dice il fratello Michele. Altro elemento che induce a pensare che si tratti di materiale esplodente o comunque armi, si evince dal fatto che Luigi Cuomo nel criticare il fratello, lo invita a fare le cose personalmente e non a delegare altri. “Chiama Paolo e fatti fare il favore, prende lui le bombe. E che le devo scendere io?”

L’episodio clou dell’inchiesta “Revenge” portata avanti dalla Dda di Firenze e culminata ieri con i 10 arresti e due interdittive ad altrettanti commercialisti, è quello della pizzeria “Pizza, cozze e babà” oggetto di faida tra il clan dei Cuomo con “quelli di Piedimonte”. Il locale pubblico, situato alla Leopolda nel capoluogo toscano, fu oggetto di un attentato dinamitardo nello scorso febbraio. Il commando era arrivato da Nocera Inferiore, Sabato Mariniello e Luigi D’Auria avevano affittato un’auto a Sarno per raggiungere Firenze. Era la notte del 23 febbraio di quest’anno, quando (come ripreso da una telecamera privata) una Nissan con due persone a bordo si ferma nei pressi della pizzeria. A scendere dall’auto, incappucciato, sarebbe stato Luigi D’Auria mentre alla guida ci sarebbe stato Sabato Mariniello. Il primo piazza l’ordigno e lo fa esplodere, l’altro lo attende in macchina. Entrambi poi vanno via. Verso l’albergo Barberino dove hanno alloggiato. La presenza viene ricostruita da un testimone oculare. “Entrambi sono arrivati all’una di notte, avevano un accento marcatamente campano, uno solo aveva i documenti. L’altro ne era sprovvisto ma siccome l’amico aveva garantito per lui entrambi salirono in camera. Fu preparato loro da mangiare, poi uscirono per ritornare in albergo intorno alle 3 di notte. Poi, dopo aver saldato il conto, uscirono in fretta e da quel momento non si sono più visti”. Dalle descrizione fornite e dopo aver mostrato foto segnaletiche si capì che quei due erano Sabato Mariniello e Luigi D’Auria, arrivati a Firenze per l’attentato e dopo averlo eseguito andarono via a bordo della Nissa Qashqai (come emerge da un filmato della Dda), poi coinvolta in un incidente, affittata a Sarno. Poi sono stati riconosciuti anche dal portiere di notte dell’Hotel Barberino. Luigi Cuomo, titolare della pizzeria che aveva subito l’attentato parlò di non aver avuto screzi con nessuno. “Solo con degli africani qualche giorno fa…”