
Michelangelo Russo
Abbiamo già accennato nelle precedenti puntate al significato speciale che ha l’anno 1979 per il cambio di passo della magistratura salernitana. Sono arrivati giovani magistrati provenienti, per lo più, da sedi del Nord Italia. Hanno acquisito una nuova cultura della giurisdizione e del ruolo del magistrato nella società, in linea con l’evoluzione democratica delle componenti sociali, di certo più dinamiche al Nord. Abbiamo visto come questo processo di svecchiamento delle gerarchie di valori abbia comportato la nascita di un polo di attrazione moderno nelle assemblee, allora frequenti, dell’Associazione Magistrati. Ma c’è di più. Già dai primi mesi del 1979 questi giudici nuovi escono tra la gente, rilasciano interviste, partecipano ad assemblee non solo nelle scuole e nell’università, ma prendono la parola addirittura in convegni sul tema del lavoro nelle fabbriche, tra gli operai. Nella primavera di quell’anno Magistratura Democratica partecipa ad un convegno alla Ideal Standard, allora stabilimento di punta nell’industria salernitana, sul tema della sicurezza sul lavoro e sulla difesa dell’impiego dalle manovre speculative della proprietà. Vi partecipano, oltre ai soliti Michelangelo Russo e Claudio Tringali, Luigi Santaniello, futuro Presidente di Sezione Civile, Arturo Cortese, molti anni dopo Presidente Sezione Lavoro della Cassazione, Luciano Santoro, che nel 1990 sarà membro del Consiglio Superiore della Magistratura, Aldo Bochicchio, futuro Presidente Tribunale Sanremo, e altri. La televisione locale Telecolore intervista alcuni dei magistrati. Non c’è alcuna remora a lasciarsi intervistare. E, soprattutto, a nessuno, di centro, di destra o di sinistra, si permette di starnazzare invettive contro i giudici politicizzati. L’Italia del 1979 ha un concetto più alto della democrazia e del rispetto del diritto di opinione, ovviamente sulle questioni generali. L’insulto dell’appellativo di “giudici politicizzati” arriverà solo con le suggestioni mediatiche di Berlusconi, nel 1994, quando sentirà in pericolo i suoi interessi economici personali. Ma nel 1979 la diversità di cultura nella piccola schiera dei giudici di professione (al tempo ce ne sono in servizio effettivo meno di cinquemila, la metà circa dell’organico odierno) non è causa di insulti o pubbliche insinuazioni. E’ più alto in genere, nella società come nella politica, il grado di acculturazione e la capacità di critica. E’ in un clima del genere che possono spiegarsi le contestazioni, a Salerno, che avvengono anche pubblicamente, dei santuari dell’organizzazione gerarchica dell’apparato giudiziario. Nella primavera del 1979 c’è l’eco di un processo che ha portato in primo grado alla condanna, tra gli altri, del Sovrintendente Regionale ai beni paesistici e del Sindaco di Vietri per lo scempio ambientale del cosiddetto “Mostro di Fuenti”. Adesso si attende la sentenza di Appello. Ma, nella sorpresa generale, i tempi di attesa per l’udienza di Appello, di solito scanditi a distanza di molti mesi se non di anni, sono fulminanti. L’udienza di Appello viene fissata a breve, dopo appena tredici giorni dal deposito della sentenza di primo grado. Dopo circa due mesi, la nuova sentenza annulla quella precedente di condanna. Esplode il malumore e lo sconcerto negli ambienti giudiziari e nella pubblica opinione nazionale più sensibile. Ma, poche settimane dopo, il Presidente della Corte d’Appello di Salerno Domenico Napoletano (peraltro docente insigne di Diritto del Lavoro), che è stato l’autore della fissazione di un termine inusitatamente breve per l’Appello, indice una pubblica assemblea nell’aula Parrilli sul tema generico “Problemi della Giustizia a Salerno”. Nel convegno si parla di problemi di routine, come orario delle udienze e chiusura dei portoni del Tribunale. D’improvviso, Magistratura Democratica interviene con attacchi violentissimi sul processo del Fuenti e la sospetta anticipazione a tempi ridotti del processo d’Appello. Si avvicinano le elezioni politiche del giugno 1979, e la fulminea sentenza d’appello che assolve il Sindaco comunista di Vietri può, per Magistratura Democratica ma anche per molti altri giudici, dare adito a sospetti di ambizioni elettorali di qualcuno. Il 2 giungo viene, nel collegio di Benevento, eletto come parlamentare in quota Partito Comunista (anche se come indipendente) il Presidente della Corte d’Appello di Salerno Domenico Napoletano, proprio quello contestato pubblicamente dai giovani magistrati, con grande risalto, poi, mediatico. Il segnale è lanciato anche all’esterno. Qualcosa di assolutamente nuovo sta succedendo nel mondo del Palazzo di Corso Vittorio Emanuele. La Giustizia, così come è sempre stata, prevedibile, silente, aggressiva verso i reati comuni tanto quanto sfingea di fronte ai tanti casi di discutibili procedure amministrative degli Enti Pubblici (per non parlare dell’affarismo rampante di vasti settori industriali, in primis l’edilizia), non sarà più la stessa. Le voci che arrivano di dentro dal Palazzo fanno rumore, denunziano, hanno pubblico attento. Ma soprattutto dimostrano che non c’è nessuna contiguità tra le frange progressiste della Magistratura e gli interessi elettorali del Partito Comunista, tanto più quello locale. La denunzia dell’opacità della gestione dello strano iter processuale del Fuenti, e della singolare coincidenza di candidature politiche di due mesi dopo, sarà un punto di non ritorno e un segnale alle speranze di alchimie politiche transattive tra i partiti.