La scuola è un luogo fondamentale, parola di studente - Le Cronache
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La scuola è un luogo fondamentale, parola di studente

La scuola è un luogo fondamentale, parola di studente

di Stefano Russo

Le vacanze natalizie stanno volgendo al termine e in queste ore sui media e in televisione si sente continuamente parlare delle modalità di ripresa delle attività scolastiche. Il discorso sulla scuola “in presenza” o “a distanza” sembra essersi trasformato in una questione “ideologica”, invece di valutare con serietà e serenità la reale possibilità di riapertura delle scuole in base alle attuali condizioni epidemiologiche. Si tratta di un argomento particolarmente delicato, in quanto la didattica “in presenza” è fondamentale nel processo formativo di ogni allievo, ma non è possibile ignorare i rischi correlati, al giorno d’oggi, alla presenza contemporanea di tante persone in uno stesso ambiente. Per far ripartire in totale serenità le attività scolastiche “in presenza” bisognerebbe riuscire a realizzare condizioni di reale sicurezza per tutti i soggetti coinvolti, ma ciò non è sempre possibile. Indubbiamente, la didattica “a distanza” (DAD) durante il periodo di lockdown ha rappresentato per diversi mesi un’ancora di salvezza per l’istituzione scolastica italiana, che ha dimostrato di saper reagire e che, sfruttando le moderne tecnologie, ha continuato a rappresentare per noi studenti un punto di riferimento. Grazie, infatti, all’impegno e alla generosità dei docenti, noi ragazzi abbiamo potuto continuare a vivere il clima della classe, anche se virtualmente, sia nello studiare nuovi argomenti sia nel trascorrere insieme alcune ore di quelle interminabili e ripetitive giornate. Tuttavia, attualmente sarebbe un vero peccato rinunciare nuovamente a tutti i vantaggi psicologici e pedagogici legati all’esperienza in presenza. Su questo tema si registrano pareri contrastanti di dirigenti scolastici, docenti e personalità politiche, soprattutto in Campania. Il Presidente della Regione Campania Vincenzo De Luca in conferenza stampa ha dichiarato: “Non ci sono le condizioni minime di sicurezza […] C’è qualcuno che può sostenere che aprire le scuole nel caos totale favorisce la didattica e l’equilibrio psicologico dei nostri bambini e tranquillità dei docenti? È esattamente il contrario. Chi prende queste decisioni è nemico della scuola non amico”. La leader dell’opposizione comunale di Salerno e dirigente scolastica Elisabetta Barone auspica, invece, che non vi siano chiusure generalizzate, ma l’attivazione di protocolli chiari: “Eviterei sospensioni generalizzate mentre tutto il resto è aperto (bar, ristoranti, sale gioco, luci d’artista, ecc.). Il messaggio che lanciamo è devastante […] Direi pertanto di usare la DAD, come abbiamo fatto in questi mesi, lì dove necessario.” Dopo quasi due anni dalla diffusione del virus COVID-19 e dalla conseguente dichiarazione da parte dell’Organizzazione Mondiale della Sanità dello stato di pandemia, ossia diffusione universale della malattia, grazie alla scoperta di alcuni vaccini, è lecito guardare al futuro finalmente con un certo ottimismo. Ed è proprio sull’efficacia di questi ultimi, che hanno reso meno aggressivo il virus e hanno reso i sintomi più lievi o moderati, eliminando in molti casi la necessità di ricovero in ospedale, che si fonda la convinzione di chi non considera la frequenza delle scuole particolarmente rischiosa. D’altra parte noi non siamo in una pandemia, ma siamo nel bel mezzo di una sindemia, ossia un insieme di epidemie convergenti; le condizioni di disagio psicologico, infatti, si manifestano all’interno soprattutto dei gruppi sociali svantaggiati e tra giovani e giovanissimi cresciuti nella crisi e nella totale assenza di prospettive. Nel momento in cui nel mondo si contano ormai cinque milioni di vittime della pandemia, ci si interroga se la stiamo affrontando con un approccio troppo limitato. Stiamo trattando la pandemia solo come una malattia infettiva e non come un complesso fenomeno sociale, economico, politico, oltre che sanitario. Questa considerazione porta alla logica conseguenza che sia necessario un approccio più “sfumato” e ampio per affrontare questa problematica se vogliamo proteggere la salute delle nostre comunità. In realtà la scuola è uno dei luoghi maggiormente sicuri in questo momento, in quanto sottoposta a tracciamenti, obbligo di mascherine, uscite differenziate e misurazione della temperatura, mentre sono molto più rischiosi altri ambienti, come i supermercati o i bar, dove non sono previste tali precauzioni. Per noi ragazzi dopo quasi due anni di DAD il rientro a scuola è stato una boccata di aria fresca, perché ha favorito la socializzazione e ci ha permesso di riscoprire la bellezza di stare in compagnia. Il ritorno tra i banchi, l’odore del gesso, della lavagna, il suono della campanella, la confusione del cambio d’ora hanno rappresentato la libertà da un freddo monitor tra le quattro mura delle nostre camerette, dove giornate interminabili scorrevano monotone e ripetitive. La scuola è un luogo di fondamentale importanza che permette agli studenti di prepararsi non solo culturalmente, ma anche umanamente, invece la DAD, sebbene sia oggettivamente meno impegnativa, non garantisce gli stessi vantaggi. È altrettanto fondamentale, però, considerare che la situazione contagi stia diventando sempre più rischiosa, quindi bisognerebbe incrementare i controlli e soprattutto rendere obbligatori i vaccini per tutti gli studenti, i professori e i collaboratori scolastici, in modo tale da garantire la maggior protezione possibile. Inoltre, sarebbe opportuno che le classi fossero meno numerose, che si ripristinasse il distanziamento sociale nelle aule e si aumentassero le corse del trasporto pubblico, distribuendo in maniera adeguata i pendolari ed evitando assembramenti. Tuttavia, se la DAD in questo momento fosse l’unico compromesso tra la tutela della collettività, in particolare delle persone più fragili, e il regolare svolgimento delle lezioni, ancora una volta noi studenti e tutta la comunità scolastica saremmo pronti ad un ulteriore sacrificio, perché soltanto l’altruismo e la solidarietà, nel pericolo, sono di conforto all’uomo. La resilienza, infatti, è l’unica reazione ad eventi traumatici come il Covid-19: dobbiamo essere capaci di adattarci al cambiamento e di reagire positivamente alle circostanze avverse senza lasciarci piegare. A noi ragazzi, quando il nemico invisibile svanirà dalle nostre vite, resterà il ricordo di un’esperienza indimenticabile ed uno stimolo propositivo; rimarrà per sempre impresso nella nostra memoria lo slogan di questo lungo periodo: “Nessuno si salva da solo”. Sarà questa la ricompensa al sacrificio dei tanti nonni perduti e delle tante persone che hanno generosamente profuso le loro energie in favore degli altri, con sprezzo del pericolo e molte cadute sul campo.