
di Erika Noschese
La recente introduzione delle pagelle per i dirigenti scolastici ha acceso un dibattito acceso nel mondo dell’istruzione, dividendo la categoria tra sostenitori e oppositori della riforma ministeriale. Al centro della discussione c’è il sistema di valutazione che, per la prima volta, lega la retribuzione di risultato dei presidi al raggiungimento di obiettivi specifici, misurati attraverso indicatori di performance. I favorevoli alla riforma sottolineano la necessità di introdurre criteri di valutazione oggettivi e trasparenti, in grado di premiare il merito e l’impegno dei dirigenti. Secondo questa visione, la valutazione permetterebbe di incentivare la qualità della gestione scolastica, promuovendo l’innovazione e il miglioramento continuo. D’altra parte, i contrari alla riforma esprimono preoccupazioni riguardo alla complessità e alla soggettività del sistema di valutazione. Alcuni dirigenti temono che gli indicatori di performance non tengano conto delle specificità dei diversi contesti scolastici, penalizzando le scuole situate in aree svantaggiate o con particolari difficoltà. Altri criticano il rischio di un eccessivo appiattimento della valutazione su parametri quantitativi, a discapito della qualità del lavoro svolto. Inoltre, emergono dubbi sulla reale efficacia della riforma nel migliorare la qualità dell’istruzione. Alcuni dirigenti sostengono che la valutazione potrebbe generare un clima di competizione eccessiva e demotivazione, minando la collaborazione e lo spirito di squadra all’interno delle scuole. Il dibattito è destinato a proseguire, con la speranza che si possa trovare un equilibrio tra la necessità di valutare l’operato dei dirigenti e l’importanza di sostenere e valorizzare il loro ruolo cruciale nel sistema educativo. Ne abbiamo parlato con Barbara Figliolia, dirigente scolastico del Liceo scientifico statale “Francesco Severi” di Salerno.
Il sistema scolastico attuale è difficile da gestire e organizzare.
«Moltissimo, alle condizioni attuali. Sono la prima a mettersi in gioco, provando a creare i presupposti per una vera e propria famiglia. I docenti non collaborano per quei quattro spiccioli in più, ma perché credono nel lavoro che fanno e danno una mano al dirigente scolastico, evitando che venga lasciato solo. Altrimenti, senza dubbio saremmo lasciati soli.
Il dirigente scolastico deve delegare agli altri i compiti, e si deve fidare degli altri. Credo che tutto il sistema scuola sia complesso: occorre valutare i docenti, perché un dirigente, rispetto a un docente che si assenta spesso, che non è empatico, cosa può fare? Niente. Se si vuole migliorare davvero il sistema scolastico, facciamo queste valutazioni ma facciamole seriamente, non guardiamo solo i documenti. Nel contratto triennale ciascun dirigente inserisce degli obiettivi che devono essere raggiunti: è su quelli che bisogna valutare, insieme a tutto il sistema scolastico. Se mi valutassero in base al risultato degli studenti, non avrebbe senso».
Anche perché la scelta del personale dipendente, nonché dei docenti, non spetta ai dirigenti.
«Esattamente. Noi non scegliamo nessuno, non possiamo scegliere nessuno. Il dirigente scolastico non può neanche entrare in classe per verificare ciò che il docente sta facendo, se non su segnalazione. Come fa il dirigente a capire se il docente è empatico o no? Tanti docenti non sono empatici, non trasmettono nulla. Come fa il dirigente a essere stimolante per quella classe? Come può? Il consiglio di classe è importante, ma guai se il dirigente toglie continuità al docente. Il dirigente, ormai burocrate, sta diventando sempre più garantista. Perché dobbiamo stare attenti. Abbiamo zero autonomia su questo punto».
Non si possono fornire stimoli di alcun tipo?
«Il cosiddetto bonus per la valorizzazione dei docenti, per dirne una, era uno strumento per i dirigenti atto a valorizzare i docenti che davano qualcosa in più. Ma l’hanno eliminato. I sindacati sono intervenuti per contrattare questo bonus ma non è giusto. È inutile».
Il fatto che tali risultati coinvolgano una parte della retribuzione dei dirigenti scolastici, come se fosse un finto incentivo, ha senso?
«Questi fondi legati al Pnrr sono pochi, quindi non possono essere dati a tutti. Poi c’è una norma che vieta che possano essere dati a pioggia. Hanno creato quindi le fasce A, B e C. Inoltre, per ridurre la discrezionalità del direttore regionale, hanno provato a creare una valutazione oggettiva e quindi basandosi sugli incartamenti messi a posto. Se stanno a posto le carte, sta a posto la scuola. Ma non è così. Un dirigente può avere anche il Ptof migliore del mondo ma non ha poi riscontro. Come il docente che ha una lectio magistralis perfetta, ma i ragazzi non capiscono nulla, a che serve? Tutti si stanno attrezzando, anche il dirigente che non ha pubblicato ancora il Ptof. Si tratta solo di carta».
E lo stipendio resta uguale.
«Da tempo il nostro stipendio è stato diviso in tre fasce. La quota di risultato deve essere data in base al risultato. Il Ministero ha sbagliato a dare a tutti la stessa cifra: il compenso accessorio va dato a chi ha fatto di più in quell’anno. C’è una differenza di 2-3mila euro all’anno tra le varie fasce. Prima la valutazione era farraginosa, ore è blanda. Bisogna avere il coraggio di dialogare bene sul tema, dando strumenti efficaci per la valutazione del personale scolastico, a partire dai docenti che spesso non sono all’altezza del proprio compito. E non ha senso che altri docenti, che invece si spaccano davvero la schiena, non abbiano alcun riconoscimento. Poi non ha ancora senso che ci siano queste classi pollaio. Come può un docente seguire tutti questi ragazzi o essere soddisfatto con 1600-1700 euro al mese? Questa è una mortificazione alla scuola e alla cultura. Alcuni docenti hanno ancora motivazioni ideali, ma tanti sono stanchi, non arrivano a fine mese e arrotondano addirittura facendo altri lavori. E non ha senso essere mortificati così dalla società. Bisogna dar loro più dignità e formazione: se prima il docente bravo si trovava, adesso diventa sempre più difficile trovarne uno, con questi stipendi. Una persona davvero brava non si butta più nella scuola. Docenti di matematica bravi, ad esempio, non se ne trovano quasi più. Molti dirigenti, miei colleghi, sono tanto delusi. Non si riesce a incidere sul cambiamento, siamo con le mani legate.
Però bisogna credere sui dirigenti scolastici. Un dirigente attento sa bene quali siano le mele marce in un cestino: su quelle bisogna mettere in condizione i dirigenti di poter decidere e incidere. Ma questo è difficile: altri ci hanno provato ma non è così facile. Diamo più soldi ai docenti, facciamo anche meno ore di insegnamento, ma poi valutiamoli: abbiamo a che fare con menti tutte da plasmare, e dobbiamo far sì che possano essere gestiti al meglio».