
Olga Chieffi
Ultimo appuntamento tra gli stucchi dorati del gioiello barocco di Salerno, per la rassegna “Grande Musica a San Giorgio”, giunta alla sua IV edizione, dal titolo “Senza confini”. Una programmazione musicale ideata e promossa dall’Associazione Alessandro Scarlatti presieduta da Oreste de Divitiis, e realizzata con il sostegno del MIC e della Regione Campania, in collaborazione con la Fondazione Alfano I e Salerno Sacra e con il patrocinio del Comune di Salerno. Il concerto finale è stato affidato ai legni e in particolare alle doppie ance dell’oboe di Manuel Molinario, e del fagotto di Giacomo Lapegna e a quella del clarinetto di Francesco Filisdeo. Il programma principierà con il trio in Do maggiore op.87 di Ludwig van Beethoven, composto nel 1794 o nel 1795, si collega idealmente da un lato all’Ottetto op. 103, col quale condivide la freschezza dell’ispirazione e l’accuratezza della fattura, mentre dall’altro riproduce l’organico delle contemporanee Variazioni su un tema del «Don Giovanni» di Mozart WoO 28. L’Allegro d’apertura è, naturalmente, in forma di sonata, con il primo gruppo tematico che presenta soprattutto motivi in ritmo puntato dal piglio quasi militare, che ritornano nella transizione, condotta con imitazioni tra gli strumenti, e poi ancora, addolciti, nel profilo del secondo gruppo tematico. L’Adagio cantabile è costituito da un’esposizione e da una ripresa variata con coda, mentre il Menuetto, Allegro molto, Scherzo è un movimento che tradisce già nella ridondanza dell’intestazione l’impulso di Beethoven a trasformare il Minuetto settecentesco in Scherzo. Il Finale, Presto è un brillante rondò dai tratti ingegnosi. Forme ben tornite, disegni chiari, grande senso lirico modellano il camerismo di Poulenc dove la giovanile “Sonata” per clarinetto e fagotto, è un omaggio ai suoi ambiti strumentali più amati, i legni. E’ questa la prima di tre sonate che Poulenc in seguito ha definito da “intrattenimento”, scritta nel 1922 e rivista nel 1945.Il lavoro è molto breve, e comprende tre movimenti. Il primo, Allegro, è un dialogo veloce in cui il fagotto quasi accompagna il clarinetto. Il secondo, Romance (Andante trés doux) è lento e si basa principalmente sul registro inferiore degli strumenti. Il terzo, Finale (Trés animé) comprende due sezioni veloci e ne delimitano una centrale più lenta, ove si distilla in un percorso rarefatto, sommessa, quanto suggestiva l’espressione melica del clarinetto dando forte connotazione, in realtà, a tutta l’opera. Si procederà, quindi, con i cinq pièces en trio di Jacques Ibert. Nelle sue composizioni, Ibert ha rianimato l’equilibrio ed i processi chiaramente riferibili a stili musicali precedenti, rielaborandoli in termini contemporanei e altamente personali. “Voglio essere libero ed indipendente dai pregiudizi che dividono arbitrariamente i difensori di una certa tradizione e i partigiani di una certa avanguardia”, affermava infatti il compositore francese. La ricerca della libertà musicale significava l’allontanamento dalle due tendenze artistiche che dominavano la scena musicale francese alla fine del ventesimo secolo, l’impressionismo francese e l’espressionismo tedesco. Ibert mostra qui una sensibilità tutta francese, con chiarezza, equilibrio, colore e nitide impressioni. Intermezzo con due pagine in prima esecuzione assoluta per il progetto Canzoniere italiano: la prima “Fra i rami degli alberi” ispirata a “Il cielo in una stanza” di Gino Paoli per l’arrangiamento di Fabiana Mariniello e “Trio apres New Trolls, da “Una miniera” arrangiato da Matteo Marangio. Si procederà, quindi, con il Duo n°1 in Do Maggiore WoO.27 per clarinetto e fagotto di Ludwig van Beethoven. Questo duetto che dai tratti stilistici sembra appartenere al periodo giovanile di Beethoven, qualcuno lo avrebbe datato al 1792. Comunque sia, i tre duetti, di cui ascolteremo è il primo, oggi sono conosciuti come pezzi di Beethoven, piccole ma deliziose composizioni che, per il loro carattere gioioso, le alternanze timbriche e l’assenza di grosse difficoltà tecniche, sono i duetti per fiati più spesso eseguiti. La formazione clarinetto e fagotto è innovativa se consideriamo il periodo in cui sono stati scritti; il fagotto nasce come rinforzo del basso continuo e soltanto Mozart, fino ad allora, lo utilizza come strumento solista, il clarinetto, poi, inizia a svilupparsi alla scuola di Mannheim con gli Stamitz. Finale con una trascrizione della Kammermusik n°1 di Paul Hindemith La Kammemusik n. 1, composta tra gennaio e febbraio del 1922, viene eseguita il 31 luglio a Donaueschingen suscitando grande scalpore a causa della sua componente ritmica, prevalente sull’armonia e sullo sviluppo dei temi. La musica è violenta, politonale, esprime forti tensioni, si basa su elementi autonomi ben delineati e non relazionati tra loro; anche l’organico strumentale è inconsueto e comprende persino una fisarmonica, una sirena e un barattolo di latta riempito di sabbia. I fiati sono presenti con flauto, ottavino, clarinetto, fagotto e tromba; un quintetto d’archi formato da due violini, viola, violoncello e contrabbasso esegue la base ritmica. Il pianoforte è utilizzato in forma percussiva o per delineare un sottofondo continuo in aggiunta alle numerose percussioni. Qui ascolteremo il terzo movimento intitolato “Quartett” in effetti un trio per flauto, clarinetto e fagotto punteggiato dal glockenspiel, naturalmente in una trascrizione con figurazioni melodiche elementari e su dinamiche ritmiche ripetitive.