Antonio Manzo
E’ mai possibile che nei giorni dell’Italia impolitica e sconnessa debba essere il più noto conduttore Rai, Carlo Conti, a rimettere ordine letterale prim’ ancora che storico e politico, intorno alla parola ed aggettivo democristiano? Eppure è così. In una sua recente intervista al Corriere della Sera, Carlo Conti celebra i suoi quarant’anni di Rai ristabilendo, con parole semplici, il vero senso e significato del termine “democristiano” per spiegare la sua fedeltà politica ad una idea. dopo l’uso distorto, e denigratorio usato dai social, dai media e non solo. “È per questo che a volte la definiscono “democristiano”? Per la capacità di sviare? Le dà fastidio?” chiede il giornalista Renato Franco con una domanda già di per sé imbevuta di moderatismo, abilità tattica e compromesso. Carlo Conti, tranquillo e deciso risponde: “Democristiano non è un’offesa. Sono cristiano perché sono cattolico e sono democratico perché lascio spazio e rispetto tutti. Forse intendono dire che sono diplomatico”. Le parole di Carlo Conti rispondono all’uso distorto del linguaggio spesso offensivo “non fare il democristiano”, “è da democristiani” con l’immancabile “moriremo democristiani” titolo che coniò Luigi Pintor per la prima pagina de Il Manifesto del 28 maggio 1983 dopo la sconfitta politica di Ciriaco De Mita alle elezioni politiche di quell’anno. Mai ad immaginare, lo stesso fervido ed acuto giornalista che avrebbe, con quel suo titolo, non solo preconizzato il destino politico-funerario della Prima Repubblica provocando, però, anche milioni di gesti scaramantici di milioni di italiani ma avrebbe legittimato, ben trent’anni dopo, la profezia di Ciriaco De Mita: “Quando morirò continuerò a parlare”. Chiedo scusa agli amici Gianfranco Rotondi, deputato democristiano mai pentito e ad Ortensio Zecchino, presidente del comitato nazionale sulla storia di 80 anni di Democrazia Cristiana, se utilizzo le parole di Carlo Conti, non politico, né storico, ne opinion leader, per descrivere la Dc ancora nostalgicamente evocata da alcuni, come un miraggio, un’età dell’oro a cui tornare per contrapporre ai “nani” della politica di oggi ai “giganti” di una volta, dove tutti indistintamente dai comunisti ai missini, costruirono il vero e irripetibile campo largo della Repubblica italiana in un’Italia che dalla guerra e crebbe nel quarantennio repubblicano. “Nonostante la Dc” direbbero i nostalgici della opposizione a vita, ignari che Jacques Nobecourt su “Le Monde” avvertì che «la Dc non si definisce, si constata». A Rotondi e Zecchino, non per nostalgia, consiglierei di tornare a spiegare la storia democristiana soprattutto in tempi nei quali è tornato il replay di quel che veniva addebitato alla Dc. Cioè l’inconcludenza, l’ignavia, l’indecisione il moderatismo astutamente predicato ma volutamente non ricercato, inciuci, furbizia e abilità tattiche. Proprio ora che è stato smentito anche Pietro Citati, lo scrittore che scrisse il necrologio più violento sulla Dc. Scrisse lo scrittore che amava Kafka e Leopardi: “Per questo il paese vuole dimenticarli, i democristiani: non desidera riflettersi nel loro specchio”. Basterebbe che tornasse oggi Citati, anche con la lezione di Kafka, per evitare accuratamente di riflettersi negli specchi dell’oggi. Non si tratta di rifare un partito ma tornare a predicare uno stile politico per ricominciare a raccontare correttamente una storia troppe volte travisata e offesa. Il rispetto umano obnulilato dalla politica oggi. Basterebbe ricordare il gesto di garbo umano, prim’ancora che politico, dell’allora sindaco di Salerno Vincenzo De Luca, mai democristiano, che sedette in prima fila al Duomo di Salerno accogliendo Giulio Andreotti invitato al matrimonio della figlia del suo amico Paolo Del Mese. Un gesto da considerare irripetibile nell’Italia educata dalle classi dirigenti di oggi alla maleducazione politica. Durante vari talk show, articoli e persino commenti sui social, l’uso del termine “democristiano” ha assunto toni ironici, se non addirittura denigratori. Riteniamo questo fenomeno stupido da un lato e preoccupante dall’altro, soprattutto perché tradisce e semplifica in maniera del tutto errata un’eredità politica fatta di rispetto, dialogo e impegno sociale. valori di rispetto, di dialogo, di solidarietà e di inclusione. Le parole del democristiano Carlo Conti, cristiano e cattolico per l’ascolto del prossimo e democratico per far parlare tutti sono una lezione. E’ democristiano Conti, e sembra voler ricordare uno stile a chi analizza questioni, compone o confronta interessi, elabora proposte, entra in dialettica col Governo, punta all’alternativa che ri-civilizza la società, resa incivile dalla frammentazione atomistica del neoliberismo e dal neo-corporativismo.Essere democristiani sarebbe cioè fare della politica non l’espressione della rabbia o della passione, ma un agire collettivo e collegiale nello spazio in cui la politica è ancora affare di molti, e non di pochi o di uno soltanto. Tornano i due epigoni della crisi del linguaggio: Carlo Conti lo recupera nella stagione del dileggio mentre Maurizio Sarri, già allenatore del Napoli, fu protagonista dell’offesa “politica” da ultras. Ricordate la celebre discussione tra Maurizio Sarri, allenatore del Napoli, e Roberto Mancini, allora tecnico dell’Inter nel finale di una gara di Coppa Italia? Ebbene, nel tentativo di giustificare l’insulto omofobo rivolto al collega, e sul quale si discusse a lungo, Sarri davanti ai giornalisti se ne uscì con un “ho detto la prima offesa che mi è venuta in mente, gli avrei potuto dare del democristiano” . Con sentenza del gip del Tribunale di Napoli, Claudio Marcopido, Sarri fu “assolto” con una giudiziosa sentenza. Se non moriremo democristiani lo diranno i posteri, intanto la giustizia ci ha detto una verità molto più semplice: dare del democristiano a qualcuno non costituisce reato. Anche perché, in caso contrario, in Italia molti avrebbero dovuto sperare nella… prescrizione.





