di Red.Cro.
Fare ricorso contro la propria azienda non è semplice. Se l’azienda del caso è l’Asl di Salerno e la quaestio riguarda un adeguamento economico spettante per legge ma non versato, la situazione è ancor più complessa. La Cassazione, in questo caso, ha dato ragione all’avvocato Rosa Russo: la querelle avviata con l’Azienda sanitaria locale riguarda la tesi, sostenuta dalla professionista, di aver svolto mansioni superiori a quelle corrispondenti al ruolo senza però percepire le dovute differenze economiche, definite in fase di avvio della vicenda nell’ammontare di 150mila euro. La Cassazione, in questo caso, ha cassato con rinvio il ricorso presentato dall’avvocato e dipendente dell’Asl, dandole ragione in merito alla vicenda. “In materia di pubblico impiego contrattualizzato – si legge nella sentenza emessa – l’impiegato cui sono state assegnate, al di fuori dei casi consentiti, mansioni superiori ha diritto, in conformità alla giurisprudenza della Corte costituzionale, ad una retribuzione proporzionata e sufficiente ai sensi dell’art. 36 Cost., che deve trovare integrale applicazione, senza sbarramenti temporali di alcun genere”. La questione ha tra l’altro dei precedenti che proprio la Cassazione ha tenuto a precisare, sia per quanto riguarda la giurisprudenza della Corte Costituzionale (sentenza 908 del 1988, la 57 del 1989, la 296 del 1990 e la 236 del 1992) sia per le sentenze ultime della Cassazione (la 25837 del 2007 o la 4367 del 23 febbraio 2009). “Ove la posizione dirigenziale – si legge in un altro passaggio della sentenza della cassazione – sia stata istituita ed assegnata di fatto a dipendente privo della qualifica dirigenziale, il diritto alle differenze retributive per lo svolgimento di mansioni superiori non può essere escluso valorizzando la mancata formale assegnazione degli obiettivi, che incide unicamente sul trattamento accessorio spettante, perché mentre la retribuzione di posizione retribuzione riflette il livello di responsabilità attribuito con l’incarico di funzione, quella di risultato, che corrisponde all’apporto del dirigente in termini di produttività o redditività della sua prestazione, presuppone la positiva verifica del raggiungimento degli obiettivi, previamente determinati, cui la stessa è correlata”. In parole più semplici e meno arzigogolate, la Cassazione ha dato ragione alla professionista puntualizzando che l’adeguamento della retribuzione riguarda il “peso” delle responsabilità annesse al ruolo ricoperto da chi se le assume. Soprattutto se – come parrebbe in questo caso – la decisione è tra l’altro pervenuta dalla stessa Azienda.