Abbiamo incontrato Gianni Puddu titolare di uno dei ristoranti che propone la cucina sarda, più rinomati di Roma, oggi in grande difficoltà per l’emergenza Covid19 e per le giuste regole cui sarà costretto
Di Giulia Iannone
Gianni Puddu, titolare e chef del locale romano, nel quartiere talenti, dice: “ Ora la barca è ferma, in secca. E questo mi addolora molto. Per un anno la nave di Karalis deve galleggiare, ed io come comandante simbolico , devo assicurarmi che non affondi e che l’equipaggio resti unito”.
Come stai vivendo questa emergenza Covid 19?
“Dico che stiamo vivendo una tragedia, come tutti. Non abbiamo ancora novità ed aggiornamenti da parte dello stato. Le novità ci sono , ma non sono fattibili. A livello economico, non ci hanno dato niente, ci hanno giusto bloccato qualcosa e basta. Il problema è il futuro”.
Tu sei sardo di origine, ma vivi da alcuni anni a Roma per lavoro. Cosa puoi dire dei tuoi familiari?
“ I miei figli vivono a Roma, in Sardegna ho mia madre e mia sorella, mio cognato ed i miei nipoti. Nella mia terra d’origine, stanno affrontando bene la situazione, lì il virus non ha raggiunto il picco di contagiati come qui. Loro poi hanno le case larghe e grandi, quindi vivono abbastanza bene la situazione, chi ha la casa in campagna ha più possibilità di avere una proiezione esterna per non sentirsi troppo costretti e rinchiusi. Il disastro economico è nostro, con le nostre società, i ristoranti”.
Quando hai appreso a marzo che bisognava fermare tutto e quindi chiudere la propria attività, come era la tua situazione lavorativa al Karalis, ristorante raffinato, gourmet, noto nell’ambiente?
“ Era già critica. Già si lavorava poco negli ultimi tempi, poi ho chiuso subito, già domenica, non ho aspettato il martedì sinceramente. La gente non aveva tanta paura del virus, la clientela certo si è abbassata, ma quei pochi che venivano non avevano certo timor panico Ormai ho chiuso da domenica 8 marzo, ed è quasi più di un mese di stop forzato”.
Hai detto che ciò che si prospetta è molto difficile
“ Andremo a lavorare con il 20 % di introito in meno, con un incasso che corrisponde all’80 % in meno, su per giù. Devo ridurre soprattutto i coperti, secondo una prima ipotesi di schema per la riapertura, ancora non solida, perché lo stanno praticando in alcuni paesi dell’Europa. Si prevede addirittura una distanza di 1 metro e 80 tra un cliente e l’altro. Dei miei 90 coperti, credo che si arriverà ad un trentacinque coperti totali, se ce la faccio. I dipendenti , considerando che gestisco oltre a Karalis altri ristoranti a Roma, li devo per forza lasciare in cassa integrazione. Temo che il 40% del personale lo lascio a casa. Queste sono cifre orientative ed ipotetiche, ora i dati precisi alla mano non li ho ancora perché la situazione è tutta in evoluzione. Ma giusto per rappresentare la criticità del momento , mia e di molti altri come me che lavorano nel settore”.
In questo periodo, quando è tutto normale, quali sarebbero stati gli appuntamenti del Karalis?
“Ora partiva molto buon lavoro, in primavera ci sono comunioni, battesimi, cresime”.
Non potresti lavorare un po’ con l’asporto?
“ Con l’asporto, il prodotto gastronomico che preparo nel Karalis, non arriverebbe idoneo a casa. Stiamo parlando di pesce cucinato al momento, sono famoso per i crudi, non parliamo di lasagne, pollo, arancini. La qualità andrebbe a perdersi. In più non guadagni, quelle misere poche comande che ti ordinano, non fanno la differenza. Il ristorante è una altra cosa”.
Allora ripresentiamo ai lettori, chi è lo Chef sardo Gianni Puddu?
“Lavoro in cucina dall’età di 17 anni, ma sono a Roma da 26 anni. Mi sono trasferito nella capitale per tramutare la mia passione, il mio estro creativo, il mio amore e forte legame per la mia terra d’origine, la Sardegna, in un lavoro che rappresenti tutto me stesso. Karalis in fenicio significa “Cagliari”, questo Ristorante, dunque, vuole simbolicamente rappresentare il mio forte legame con i colori, odori, sapori, prodotti , tradizioni antiche della mia magnifica isola. La mia mission, come chef e titolare del locale, è invitare i miei ospiti in un viaggio onirico, sulla costa isolana sarda, per far degustare piatti tradizionali reinterpretati in chiave creativa. Infatti, esteticamente la sala è arredata internamente come se fossimo su una barca ed i miei piatti, compresi i vini, sono la green card verso un viaggio ed una esperienza gastronomica, olfattiva visiva in giro per l’isola e la costa dal mare turchese. Ora la barca è “amorrata”, per dirla con Dino Campana, arenata. E questo mi addolora molto. Per un anno la nave di Karalis deve galleggiare, ed io come comandante , devo assicurarmi che non affondi e che l’equipaggio resti unito”.
Cosa rappresenta il ristorante Karalis, come espressione di un progetto, di una idea, di un territorio e di una creatività interiore?
“Senza essere blasfemo, per me questo posto è come un figlio, rappresenta un progetto che tocca il futuro ed assieme il passato della mia esistenza lavorativa e creativa. I miei piatti sono la tavolozza su cui poter mostrare, con il cibo, l’amore per il mestiere, per la cucina. Tutto è iniziato nel 2005, quando ho preso questo ristorante, che era una piccola trattoria anonima e senza personalità, oggi sono fiero ed orgoglioso di averne fatto un piccolo angolo di Sardegna a Roma, piano piano ho aggiunto un po’ di eleganza ed ho raggiunto una clientela più raffinata ed esigente”.
Cosa c’è nei tuoi piatti che descrive la tua identità e la tua essenza di uomo sardo?
“C’è una carrellata di antipasti di mare, piccoli assaggi molto curati, colorati e gustosi, c’è una grandissima varietà di primi di pesce, tra cui ravioli di mare, fregula, pizzudos di nuoro, Lorighittas, malloreddus, culurgiones ovvero tutte paste fresche tradizionali sarde fatte rigorosamente a mano, c’è lo zafferano, la ricotta sarda, la bottarga di cabras, il pecorino sardo che si sposa con i frutti di mare, a seguire un trionfo di pesce, in cui domina ad esempio, l’astice alla catalana, la zuppa alla carlofortina, un interessantissimo baccalà grigliato in crosta di pecorino. Ci sono le seadas per dolce, mirtomisù, soufflé al pecorino sardo. Ottimi gelati artigianali, il semifreddo al torroncino”.
Cosa avviene adesso nel ristorante?
“ Vado ogni giorno nel locale, benché sia chiuso. Cerco di tenere tutto pulitissimo, do da mangiare ai pesci degli acquari che adornano le sale, è un posto che ha bisogno di tanta cura e dedizione. Non è che il ristorante lo chiudi in un attimo, è pur sempre una casa”.
Gianni, come vivi emotivamente questo disastro?
“ Quando entro e vedo le sale vuote, la cucina solitaria ferma ed inanimata, tutto silenzioso e fisso, niente orari, ho un groppo alla gola. Non c’è niente, è una stanza immobile, un bel salottino senza anima. L’anima, quanto la puoi alimentare in questo stato? Sono negativo. Speriamo e confidiamo in Dio”.