Carmen Ferraioli*
Il ruolo femminile ha vissuto molteplici cambiamenti nel corso dei secoli, in epoca arcaica la donna godeva di un rilevo sociale assoluto, ella era la figura predestinata a portare la vita nel mondo, una figura aulica tale da essere divinizzata con un “culto della madre”. L’ emarginazione della figura femminile si ha solo in epoca greca, lì dove filosofi “illuminati” quali Platone, Socrate ed altri, riconvertirono la figura femminile come secondaria, da assoggettare sempre ad una forma maschile, padre o marito che fosse. Etichetta che ha accompagnato le dame per gran parte della storia, solo in tempi moderni le figure femminili hanno trovato la forza di imporsi e ricavare una parte meritevole nella società. La strada verso una parificazione di genere è stata, ed ancora è, impervia, tortuosa, un viaggio controvento, ma dai frutti resistenti. Potremmo dire che la donna nasce o, meglio, rinasce, gradualmente con la Costituzione Italiana, ove il concetto di eguaglianza spinge al teorico superamento degli ostacoli , “… tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, razza, religione, di opinioni politiche, di condizioni personali o sociali”. Così sulla profumo di nuove aperture legislative, per la prima volta in Italia, le donne maggiorenni furono ammesse al voto nel 1945. Un diritto che fù un simbolo, albeggiava uno sconvolgimento culturale. Grandi cambiamenti si ebbero in “quel giro di anni” contestatari a cavallo tra il’60 ed il ’70. È in quell’epoca che un moto inedito femminile, sul mare dei movimenti giovanili, trovò coraggio e terreno per “uccidere i padri” e “dare voce alle madri” scavallando quell’arcaica concezione familiare legata al padre padrone che, in qualche modo, era riuscita, ancora, a sopravvivere in pieno’900. La dimensione emancipazionista non si esaurì, anzi, diede luogo ad una serie di conquiste normative e giuridiche che, per restare al solo ambito italiano, misero capo ad una nuova legislazione destinata a modificare profondamente la vita sociale e democratica del nostro paese. Dalla promulgazione della legge sul divorzio (1970) al nuovo diritto di famiglia (1975), dalla istituzione dei consultori familiari (1975), alla legge di regolamentazione dell’aborto del 1978, confermata con referendum nel 1981, alla legge del 1977 sulla parità nel lavoro. Basta uno sguardo superficiale ai “titoli” di questa normativa per rendersi conto che essa riguardava temi e problemi della condizione femminile e in generale della società, di diverso tenore, spessore, rilievo delicato. Sul frangente delle conquiste legislative dei decenni antecedenti, la legge 442/1981 abolì il cd. “delitto d’onore e il matrimonio riparatore” entrambi pregni di un’incuria verso la figura femminile, percepita come pertinenza maschile e mai come individuo autonomo, conscio e intriso di volontà nella scelta. Di fatto prima del 1981 in Italia vi era l’applicazione di circostanze attenuanti per il marito che commettesse omicidio verso la moglie adultera o il di lei amante. Allo stesso modo, l’uomo colpevole di stupro poteva evitare la condanna sposando la vittima, sottraendola all’umiliazione sociale. Norme al maschile, che ignoravano la dignità dell’essere femminile. Sboccia una struttura familiare mutevole, maggiormente libera ove le figure femminili si fanno più decise, meno asservite e più partecipi, sebbene si continui a palesare un’impronta maschilista, che tende ad oscurare o comunque in parte a stereotipare il gentil sesso. Le donne faticano sempre più degli uomini ad emergere, in punto sociale, economico, politico e lavorativo. Nel 2011, dopo il recepimento delle direttive UE in materia di pari opportunità nel mondo del lavoro, in Italia si introduce la “quota rosa”, da rispettarsi nelle assunzioni della PA. Si avvia il congedo parentale per incentivare le donne a rientrare al lavoro dopo il parto, nonché una serie di sanzioni contro le molestie sessuali sui luoghi di lavoro. Mancano concreti impegni a sostegno della famiglia, e della di lei crescita. Bisognerebbe pensare, solo in punto esemplificativo, a nido all’interno di luoghi di lavoro, come Tribunali, Ospedali, Fabbriche et varie, strutture che supportino la madre lavoratrice agevolandola nel lavoro e nella gestione familiare. Che rendano la realizzazione di una famiglia un obbiettivo semplice. Nell’ottica dei diritti femminili si varano nuove forme di garanzia, contro profili sempre mutevoli di violenza; con la legge 38/09 si pongono le basi per tutelare le vittime di stalking, aprendo all’introduzione del reato di cui all’art. 612bis c.p. rubricato – stalking- . Reato rivalutato nel 2013 con l’inasprimento delle misure; arresto obbligatorio in fragranza, irrevocabilità della denuncia, aggravanti per il reo che commetta atti persecutori verso l’ex compagna o moglie anche attraverso strumenti informatici. Tuttavia nonostante i grossi cambiamenti culturali, rimane pregnante una forma di dominio, somatizzata, sulle donne da parte di alcuni uomini, i quali trovano nuove forme di mortificazione verso l’universo femminile, in spregio a valore basici e mettendo a nudo una rozzezza culturale, espandendosi in luoghi astratti e senza confini. Proprio in rete nell’ultimo decennio si è sviluppato un ulteriore metodo d’aggressione a danno delle donne, denominato “revenge porn”. Questo fenomeno meschino si concretizza come la vendetta sessuale e pornografica di cui molte donne (anche giovanissime) sono vittime da parte di fidanzati o ex compagni. L’intervento normativo ha aggiunto il comma 1 all’art. 612 ter cod. pen che prevede pene aspre e multe importanti per chiunque, dopo averli realizzati o sottratti, invia, consegna, cede, pubblica o diffonde immagini o video a contenuto sessualmente, destinati a rimanere privati, ergo senza il consenso delle persone rappresentate. Va ammesso che le figure femminili sono maggiormente succubi, nonostante cambiamenti culturali importanti, campagne di sensibilizzazione. Tanto che, recentissimamente, è stato necessario prevedere il cd “codice rosso” pregno di interventi anche contemporanei, che mirano a garantire maggiore tutela all’universo femminile; l’abbattimento dei tempi della giustizia per i reati contro le donne, l’acceleramento dei procedimenti penali e l’intensificazione delle misure cautelari preventive per allontanare mariti e fidanzati pericolosi dalle persone offese che ricevono minacce, violenze o sono vittime di stalking. Gli obiettivi conquistati dalle donne sono stati molti e grandi, ma il percorso verso la parità è ancora lungo, specialmente in ambito professionale. La discrasia tra occupazione maschile e femminile è ancora oceanica; nell’ultimo decennio si stima che ben 38mila donne siano state “costrette” ad abbandonare il proprio posto di lavoro, per le ingombranti difficoltà gestorie tra famiglia e lavoro. La donna è figura straordinaria, che merita le medesime chance riservate al mondo maschile, non può “pagare” da sola l’impegno di una famiglia. Parlare di diritti femminili nella giornata internazionale della donna è semplice, ma non può essere sufficiente, è necessario domandarsi come approntare un significativo cambio di visuale, ogni giorno. Per contrastare una cultura non paritaria è necessario conoscere, analizzare gli stereotipi di genere, consci ed inconsci, causa di disuguaglianza. Essi pongono la donna in una posizione di sudditanza e subalternità in molteplici aspetti della vita familiare, lavorativa, sociale, rendendola frangibile e vulnerabile. Si crea così un’inconscia, piuttosto che consapevole, violenza giustificata. Lo stereotipo irrigidisce alcuni pensieri, rendendoli pesanti da subire, e lo suggerisce l’etimologia stessa della parola “stereotipo”, dal greco “stereos”, rigido, e “typos”, impronta. Termine che inizialmente indicava gli stampi di cartapesta rigidi e riutilizzabili usati per stampare le lettere in tipografia. Poi, agli inizi del ’900, quando presero piede gli studi di psicologia sociale, il termine venne accomodato per indicare le immagini mentali con cui rappresentiamo rigidamente la realtà, come una sorta di “calco cognitivo”. A mio avviso bisognerebbe lavorare su fronti rigidi: Lotta agli stereotipi, per demolire i condizionamenti che in maniera più o meno conscia si annidano nel sociale, nel modo di pensare, agire e che vincolano le donne a ruoli periferici. Educazione all’affettività, per insegnare fin da piccoli ad entrare in contatto con le proprie emozioni, rispettando anche quelle degli altri. Indipendenza economica e genitorialità condivisa, per garantire a uomini e donne pari opportunità nel lavoro e supportare le madri lavoratrici. Contrasto alla violenza e ruolo dei media, per sensibilizzare i professionisti dell’informazione ad un rispetto reciproco, ed una tolleranza nelle peculiarità di genere. La strada è senza dubbio in salita, e la parità di genere ancora troppo utopica, ma bisogna muovere da un profondo cambiamento socioeducativo. Educare al rispetto è la chiave di volta per una società umanizzata, che riscopra il piacere della parità e del sostegno reciproco. L’epoca del “lei bella- lui forte” è superata. Predisporre le nuove generazioni al rispetto, all’inclusione, alla ricchezza del cambiamento che le donne producono con la venuta al mondo di un nuovo sorriso. Un sorriso che affianchi l’altro senza cancellarlo, che si rafforza quando condiviso. Rispettare la donna, non solo l’8marzo, ma fare del rispetto reciproco uno status culturale. Un nuovo modus educandi, è un progetto ambizioso, ma fattibile. Scambievolezza nell’ attenzione, intendimento e condivisione. Accettazione e superamento degli stereotipi; un’alleanza di genere necessaria, per la realizzazione di una società più sostenibile. *Avvocato





