Spettacolo e interessanti talenti per le lauree in canto del conservatorio “G.Martucci” di Salerno. I tenori Achille Del Giudice, Enzo Esposito, i soprano Ilaria Sicignano e Ilaria Sicignano, il mezzosoprano Katia Cerullo e il controtenore Yuan Long Lì
Di OLGA CHIEFFI
Non è stato “spettacolo breve”, per dirlo con Tosca, la seduta di laurea del dipartimento di canto del Conservatorio “G.Martucci” di Salerno. Il controtenore Yuan Long Lì, il contralto Katia Cerullo, i tenori Achille Del Giudice ed Enzo Esposito, i soprano Ilaria Sicignano e Lucia Tortora, hanno, infatti, attraversato un po’ tutto il lungo arco storico del melodramma italiano e internazionale e della produzione napoletana. Se Yuan Long Lì ha scelto la patria del bel canto e di studiare da controtenore nella terra di Farinelli e del Velluti, tra mille difficoltà anche di lingua, ma con quella abnegazione tutta orientale e nella venerazione assoluta dei maestri, congedandosi dalla scuola con “La Clemenza di Tito” di Wolfgang Amadeus Mozart e l’addio di Sesto a Vitellia, l’aria “Parto: ma tu, ben mio”, che rappresenta la voce più profonda dell’io del personaggio, totalmente dominato dal fascino fatale della bellezza, il suo desiderio inappagato e illusorio dell’amore di Vitellia, sfoderando il fascino antico della voce del controtenore, il soprano Lucia Tortora ha preparato un florilegio di arie da La serva padrona di Giovan Battista Pergolesi scegliendo la finezza della rappresentazione psicologica di Serpina, e lo spirito allegro che pervade e infonde la musica, mentre il mezzosoprano Katia Cerullo ha continuato nella vena d’oro della grande tradizione musicale partenopea, cantando alcune arie prelevate dal ricco e grande forziere del nostro ‘700. Non solo lirica ma anche teatro musicale si è visto nella sala concerti del Martucci, con “Anima Nera” di Enzo Esposito, cui hanno partecipato voci diverse tra loro in cui i linguaggi si sono articolati scontrati in forme negate al linguaggio verbale, in cui ognuno ha una possibilità, ognuno può inseguire la propria “voce”. Voci nate dal silenzio non possono che rinascere nel silenzio, ecco lo spunto per il completamento di questa, profonda e plurilinguista, nelle meno conosciute canzoni napoletane, scelta avvenuta attraverso anni di ricerca di un canto perduto che ritrova la luce. Musiche e versi che con i loro contenuti hanno raccontato semplicità ed erotismo, essoterismo e magia, rituali sacri e profani. Ed è proprio qui che trova origine questo incredibile spettacolo, dove le suggestioni, le intonazioni, le evocazioni del nostro vernacolo si trasformano in un canto ora dolente, ora euforico, capace di esprimere l’eterno incanto dei sensi: dal mare nascono e al mare ritorneranno, infatti, le note di questa performance che abbraccia la tradizione popolare, la “poesia cantata” del repertorio d’autore, completata dalla memoria sonora collettiva con il vigore ritmico e l’aggressività espressiva che sa trasformarsi in danza e nella eterna sfida del popolo partenopeo alla vita. L’addio alla vita di Mario Cavaradossi, l’ha invece offerto Achille Del Giudice, che ha coronato il suo sogno da bambino cantare il ruolo e le due arie più intense dell’opera italiana “Recondite armonie” e “Lucevan le stelle”: le note basse rotonde ed espressive, il registro medio che diviene simbolo di pienezza di vita, gli acuti trepidanti di significato, ma con evidenza e semplicità, in omaggio ai suoi idoli, Beniamino Gigli, cui somiglia anche fisicamente e Carlo Bergonzi, mentre prestava la sua voce nelle prove di Bohème al teatro Verdi, nei panni di Rodolfo. Con lui una interessante Tosca, Genny Volpicelli, un sagrestano che vuol predominare, il tenore Salvatore Minopoli, anche in veste di narratore, ovvero di Giacomo Puccini, e il pianista più amato dai tenori Ernesto Pulignano. Finale ancora napoletano con la voce di Ilaria Sicignano, che si è calata nei panni di Donna Amalia e, ancora, Salvatore Minopoli, stavolta nel ruolo a lui consono, di “Settebellizze”, nell’ affresco a quattro mani Nino Rota-Eduardo De Filippo di Napoli Milionaria. Pagine vocalmente impegnative, che disegnano personaggi a tutto tondo, giocando con vitali contaminazioni per rendere il caos e lo sbandamento della vita, in una Napoli dilaniata dalla guerra. Rota rende in musica una Napoli “caravaggesca”, dall’umanità ferita e fragile, non solo materialmente povera, ma che comincia a portare i segni di un’inconsapevole rovina interiore, rovina e contrasti sottolineati per intero dalla voce di Ilaria Sicignano. Applausi a scena aperta per tutti, applausi per i loro maestri, Marilena Laurenza, Chiara Artiano, Filippo Morace, Amedeo Moretti, Susanne Burgaard, Irma Irene Tortora, Annarita Gemmabella, applausi che da domani ci auguriamo scrosceranno sul palcoscenico della vita.