Long season per il teatro Verdi, che registra il tutto esaurito con questo ultimo prestigioso appuntamento. L’orchestra della Rai vince per il bel programma , ma non convince, in particolare nella seconda parte, con le “sostituzioni” di tutti i legni
Di Olga Chieffi
“Anto’ fa caldo” recitava una famosa pubblicità e il calore estivo tra i velluti del teatro Verdi, nel giorno di San Giovanni, l’ha subito il pubblico, ma ancor di più gli strumentisti dell’Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai, diretta da John Axelrod. Lo stesso direttore nella seconda parte del concerto ha cambiato tutti i legni, per l’esecuzione, dopo la buona prova offerta nella Sinfonia n. 4 in la maggiore detta “Italiana” Op. 90 di Felix Mendelssohn-Bartholdy, di ouverture e intermezzi, improvvisando anche un cool break per la prima viola. Non è facile suonare sotto i riflettori con 28-29 gradi abituali e ne hanno risentito in particolare i legni e su tutti il flauto che, nell’attesa ouverture del Guglielmo Tell di Gioacchino Rossini, ha reso il suo solo pallido e con molta polvere, proprio dove le sonorità si smorzano e, quasi impercettibile, il flauto conduce verso l’Andante che propone la melodia del “Ranz des Vaches” come espressione della serenità ritrovata dopo la tempesta, intrecciandosi con il corno inglese, con un suono un po’ troppo aperto, accompagnati dal pizzicato degli archi e degli accordi dei legni, ricamando pastorali arabeschi. Il direttore americano resta un elegante creatore di forme, volumi, colori e intrecci timbrici: in un mondo di retorica e stili ricreati, non aspira all’effetto, alla seduzione timbrica ed espressiva. Ha stile semplice e comunicativo, molto braccio e dominio tecnico, poca mano, ad indicare in primis attacchi nitidi, unitamente a qualche segreto accento, inclinazioni melodiche ed espressioni timbriche. Compiutezza plastica, gesto e ricerca, per questo direttore che sa guidare con naturalezza l’espressione emotiva della formazione dal podio. In una manciata di minuti, Axelrod ha così sciorinato i lunghi temi dell’Allegro vivace della Sinfonia n. 4 in la maggiore detta “Italiana” Op. 90 di Felix Mendelssohn-Bartholdy, ricchi di sfumature timbriche e dolcezze espressive. Fascinoso l’Andante con moto a tratti drammatico nei crescendo. Veloce e leggero il salterello in cui il maestro ha ricompattato archi, legni e tutti in un’unica maestosa cavalcata in avanti, incantando con vitalità il pubblico accorso al massimo cittadino. Il direttore, poi, musicista d’esperienza, ha condotto con rigore l’orchestra della Rai, anche se ci saremmo aspettati una maggiore empatia, pur ammirando la passione e l’energia con cui Axelrod, nelle ouverture e intermezzi dei massimi autori del melodramma italiano, anche se va detto che in alcuni punti essa è mancata, come in qualche accento de’ le Stagioni dei Vespri Siciliani di Giuseppe Verdi, di noto a molti per il brillante piglio ritmico ed i calibrati climax ritmico-armonici, che hanno bisogno proprio di un impulso deciso che permetta alla partitura di scorrere con fluidità. Pagine queste, che restano, però, un lavoro di grande coinvolgimento emotivo, dalla scrittura chiara ed unanimemente riconosciuta come un capolavoro. Due le interpretazioni riuscite a pieno in cui il direttore è riuscito a far risplendere quel flame continuo, quella tensione, che deve attraversare l’intera pagina, attraverso una bacchetta costantemente tesa alla ricerca dell’essenza vera della musica: l’intermezzo della Manon, grazie anche alla superlativa sezione dei violoncelli e delle viole, come il principio dell’ouverture del Tell, e il bis, l’Intermezzo di Cavalleria Rusticana. Lì Axelrod è riuscito possiede a vitalizzare anche quegli attimi d’ombra che ci sono nelle partitura o che sono ritenuti tali, azione che è riuscita anche nella sinfonia della Norma, mentre nel galop del Tell, il direttore si è lasciato andare in gesti imperiosi nel grandioso finale che chiude con un effetto squisitamente romantico. Se il Maestro Axelrod si è barricato dietro la professionalità dei suoi musicisti, che conosce e orchestra, oramai da oltre dieci anni, e che hanno saputo comunque suonar bene con queste temperature, un grande plauso meritano i musicisti della nostra orchestra, che si son sobbarcati un’opera non semplice, quale la Cenerentola, il 27 maggio, e l’affollatissimo palcoscenico dei Carmina Burana agli inizi di giugno, esprimendo sempre il risultato lodevole di un lavoro di gruppo di grande professionalità, creando un suono d’assieme che sempre più li caratterizza, ed un amalgama tra le sezioni (in particolare quella dei fiati) che emerge frequentemente per limpidità di intonazione e qualità timbrica, che appunto non abbiamo sempre riscontrato nella formazione di stanza a Torino. Applausi e tre chiamate al proscenio per Axelrod il quale ha ricordato la sua collaborazione con la nostra formazione per il Ravello Festival, che ha generosamente ricambiato, eseguendo l’Intermezzo di Cavalleria Rusticana, conservando quella libertà di respiro e flessibilità agogica, senza si avesse mai avuto l’impressione di certo manierismo.