di Giovanni Falci
L’articolo di Michelangelo Russo, scritto per commemorare il dott. Ernesto Marchione, noto e stimato cardiologo salernitano, scomparso pochi giorni fa, mi ha riportato “in” quel Liceo Francesco De Santis di via Alfredo Capone negli anni ’60.
Anche io ho frequentato tra il 1968 e il 1973 quel liceo nel quale ho conseguito il diploma di maturità.
Per me si è trattata di un’iscrizione che non ha tenuto conto dell’analisi di Michelangelo sulla società dell’epoca (borghesia fascista contrapposta ai diversi e innovatori), ma la scelta di quell’istituto fu legata al fatto che mio padre insegnava latino e greco al Liceo Tasso; per la verità aveva insegnato al De Santis proprio fino al 1968 per poi passare all’altro liceo della città.
Senza ancora l’ANAC (Autorità Nazionale Anti Corruzione), mio padre decise che non avremmo potuto frequentare lo stesso istituto neanche in sezioni diverse: “avremmo avuto il Preside in comune” fu la sua riflessione.
Questo la dice lunga sul senso della scuola e anche della società che avevano quegli insegnanti reduci dal ventennio fascista durante il quale si erano formati e che vivevano la loro professione con alto senso di responsabilità e dignità ben consci dell’enorme servizio che rendevano al paese.
Io sono stato felice di quella scelta perché ho vissuto in quel Liceo gli anni più belli della mia vita caratterizzati, tra l’altro, da quella contestazione giovanile che è passato alla storia come “il 68”; il capo indiscusso del movimento giovanile del De Santis era Michele Santoro, e non so se è poco!
Ricordo un episodio incredibile di un mio compagno di scuola, Vittorio Marchitiello, che nell’incontrarmi mentre andavo a scuola, definì la prima occupazione dell’istituto (la seconda in Italia dopo il liceo Berchet di Milano), “molto sciopero” per farmi comprendere che era qualcosa di più.
“Ce n’est qu’un début“, è solo un “inizio” è stato lo slogan più famoso e anche più bello del ’68; per me era anche l’inizio della mia vita da adolescente che usciva dalla famiglia per incontrare affetti al di fuori di essa.
Il mondo che inizia a finire con il 68 era quel mondo nato dall’Illuminismo e dalla Rivoluzione Francese: il mondo borghese.
Il 68 è stato, dunque, una rivolta contro le istituzioni che avevano dato vita a quel mondo, contro la scuola e quel sistema educativo, contro la famiglia, il sesso, la morale, la cultura e contro l’organizzazione economica che il mondo borghese si era dato.
Il 68 è stata una rivoluzione totale che voleva farla finita una volta per tutte con quel mondo.
Sarei tentato, però, dall’escludere il termine rivoluzione per il ’68, sarebbe più appropriato il termine “contestazione”, sembra eccessivo, rivoluzione, in realtà quel movimento è stato una forte modernizzazione di sistema tra le cui cause vanno sicuramente valorizzato il baby boom.
Al fianco degli studenti dentro e contro le Università, si schierano gli operai in lotta dentro e contro la fabbrica.
NEL ’68 C’ERA UNA SOCIETÀ GIOVANE E DI GIOVANI!
“L’immaginazione al potere”, altro slogan del maggio francese, era nato e fatto a misura per una società di giovani.
Ed io all’epoca ero giovane come lo era Michelangelo Russo e il dott. Marchione.
E’ lì nel ’68 che ha preso la parola, una generazione, la mia, di Michelangelo Russo e il dott. Marchione che rompeva anche nel linguaggio, ma che non disdegnava di studiare i grandi classici greci e latini.
ESSERE MODERNI NON SIGNIFICAVA ESSERE IGNORANTI!
Lo abbiamo capito nelle lezioni di quel prof. Giovanni Esposito, del prof. Michelantonio Sena, dei “giovani supplenti” Federico Cassese e Giovanna Scarsi, e di tutti gli insegnanti che ci hanno formato in quella fondamentale età della vita.
Il prof. Esposito ricordato da Michelangelo nel suo articolo, è stata la persona più comunista che abbia mai conosciuto ma che ci incantava con le sue dissertazioni sui classici latini e greci.
A proposito del comunismo filo sovietico del prof. Esposito ricordo ancora quando, alla mia richiesta di poter chiudere il balcone in un freddissimo mese di febbraio (voleva che il balcone fosse sempre e comunque socchiuso perché leggermente claustrofobico), mi disse: “sii felice, respira, questa è aria pura della Siberia, non è l’aria inquinata di Cape Kennedy”.
Ho un ricordo bellissimo di quel docente nonostante mi abbia rimandato in latino in I liceo, l’attuale terzo anno.
Ricordo ancora che la mia rimandatura fu una prova da sforzo per le coronarie di mio padre che, però, invece di fare “traffico di influenze illecite” suggerì all’amico-collega Giovanni di abbinare anche il greco nella rimandatura.
Fu il mio professore a “salvarmi” dicendo a mio padre che in greco andavo più che bene (avevo da 7 in su) e che avevo solo lacune in latino.
Ed era vero; il latino non mi è mai piaciuto a differenza del greco che non traducevo come il dott. Marchione, ma che ancora oggi ricordo e apprezzo come lingua geniale e come tematiche insuperabili e immortali.
Non mi ha mai convinto, invece, quel modo di composizione della frase in latino senza gli articoli e con il verbo alla fine; secondo me parlavano come i pellerossa d’America nei film western.
Questo senso di appartenenza a quella scuola dura da oltre 50 anni; con i miei compagni dell’epoca abbiamo una chat su whatsapp chiamata “compagni di scuola” sulla quale interagiamo tutti i giorni con spirito goliardico e con allegria.
E, anch’io ho il mio compagno di scuola cardiologo, Luca Adesso, che mi tiene in cura e in vita e che ci allieta tutti i giorni in chat con cose che non posso divulgare per “privacy” e per non intaccare la sua reputazione in pubblico.
A volte non sembrano passati 50 anni da quella maturità conquistata nel luglio 1973; è come se quella generazione fosse “condannata alla modernità”.