di Antonio Manzo
La frase è scritta a computer, nella sequela liturgica di un verbale di interrogatorio fatta dal ricorrente “D”, domanda, e “R”, risposta. Non è la domanda di una giovane docente della cattedra di sessuologia clinica applicata al diritto penale. Non c’è dubbio alcuno. E’ la domanda netta, precisa, di un magistrato donna o, se volete per la purezza linguistica, di una donna magistrato con rigoroso linguaggio da quote rosa. Non è una domanda abituale, sia pure nel corso di un interrogatorio della pubblica ministero (Giorgia Meloni era ancora ad affiggere manifesti di Alleanza Nazionale) rivolta con fermezza inquisitoria ma garbata serietà, non ad una persona qualsiasi che siede di fronte alla lei in toga, impietrita, perché deve rispondere come “persona informata dei fatti”. Il soggetto in questione che deve rispondere è il presidente dell’Associazione Nazionale Magistrati, il giovanissimo Simone Luerti, predecesssore di Luca Palamara, eletto al suo posto perché dimissionario al vertice dell’ associazione nazionale magistrati, anche a causa anche dell’improvvisato esame di “sessuologia clinica applicata al diritto penale” di questo strano ma ben mirato interrogatorio. Al terzo piano del vecchio Palazzo di Giustizia di Salerno sta per scendere la sera che filtra alle finestre ombre sinistre oltra che domande tanto personali quanto attinenti, secondo la donna magistrato che è assegnataria di un processo molto “caldo”. I fascicoli dell inchiesta denominata “Why Not”, appena arrivato a Salerno da Catanzaro, dopo la “guerriglia” tutta combattuta da giudici ed alla ricerca della verità su una presunta e larga corruzione e non solo di giudici calabresi, secondo l’ipotesi accusatoria in prima battuta ipotizzata dall allora ex pm Luigi De Magistris. Il magistrato napoletano raggiunge con molta facilità, ogni giorno, il terzo piano del Palazzo di Giustizia di Salerno. Arrivare da Napoli dove abita, è un soffio. Anche lui sa che la donna magistrato è alla ricerca della verità anche per suo conto, avendo la donna magistrato ereditato le carte che, secondo lui, militarmente i colleghi di Salerno gli avevano tolto di mano a Catanzaro.
. Non è una domanda a caso, tutt’altro. Ha una sua logica, sia pure apparentemente incomprensibile.
Luerti, presidente in carica dell’ Anm, è finito nelle maglie dell’inchiesta Why Not per un incontro al ministero di grazia e giustizia con l’allora ministro Mastella ed un indagato, poi assolto, tale Antonio Saladino manager della Compagnia delle opere (ispitrata da Comunione e Liberazione). Secondo il pm che interroga Luerti, la donna magistrato intende avere riscontro del rapporto con l’imputato Saladino perché Luerti vive, da solo, in Calabria dove è sostituto procuratore a Catanzaro. Vive in un appartamento di Lametia Terme, il paese calabrese dove vive anche l’imputato Saladino. C’è un nesso tra Luerti che fa parte del gruppo Memores Domini di Comunione e Liberazione e il calabrese Saladino che insieme incontrano Mastella a via Arenula? Del tutto innocente l’incontro di Luerti con il ministro. E’ nelle sue facolta istituzionali, nulla di strano. Dice Saladino, impruato poi assolto, finito da indagato nell’ inchiesta avviata da De Magistris a Catanzaro.
“L‘incontro fu del tutto casuale, non accade nulla di importante”. Ma l’ imprenditore di Cl indagato non fa i conti con l’effetto De Magistris che si sta scatenando sul vertice dell’Associazione Nazionale Magistrati. Luerti, oggi giudice di sorveglianza a Milano, viene convocato dalla donna magistrato per sapere “se ha fatto voto di obbedienza e di castità”.
Di acqua ne e passata da allora. Luerti si dimette, arriva Palamara. Ma non c’è più a via Arenula neanche Mastella ma Nordio. E l ‘Italia è ancora in attesa di una risposta in Parlamento sul “caso” Genchi che intercettò su ordine di De Magistris tutta l’Italia, a partire da Romano Prodi, lo stesso Mastella, capi dei servizi segreti delle forze dell’ordine. E dal 2008 che il ministro di giustizia, ora all’ attenzione del ministro Nordio, deve dare notizie sull’esistenza dell’ archivio Genchi con 578mila dati anagrafici per un totale di 392 mila persone controllate. La faida fra le procure di Catanzaro e Salerno fa emergere non solo l’ esistenza della cattedra di sessuologia clinica prestata al diritto penale (l’interrogatorio sulla castità del povero Luerti) fa emergere anche l’inquietante notizia della figura di Gioacchino Genchi, intercettatore seriale. Materia complessa che oggi rappresenta un capitolo decisivo per la rivoluzione garantista di Carlo Nordio. Avrà materiale a sostegno della sua affermazione: in Italia il numero di intercettazioni è di gran lunga superiore alla media europea. “La loro diffusione, talvolta selezionata e pilotata, costituisce uno strumento micidiale di delegittimazione persona e politica”.
La storia ritorna. Stavolta è davvero il caso di gridare: “Nordio resisti”.