di Roberto De Luca
La recente crisi di Governo si inserisce in un contesto socio-economico estremamente complesso per l’Italia, difficile da immaginare solo qualche mese fa. A inizio 2022, infatti, con il Covid sotto controllo, ci si attendeva un ulteriore “rimbalzo” dell’economia, con un robusto incremento del PIL. La guerra e la crisi inflazionistica, invece, hanno creato uno scenario inatteso che rischia, come quasi sempre accaduto, di penalizzare in maniera più incisiva la parte più fragile del Paese, vale a dire il nostro Mezzogiorno.Ancora a fine 2021, il Sud mostrava tutte le criticità e i ritardi accumulati nel corso degli anni, a partire da un PIL e da un livello di occupazione che stentano a raggiungere i livelli delle aree più sviluppate. Quest’ultimo fattore continua a mostrare dati allarmanti su molteplici aspetti, a partire da un tasso di occupazione giovanile che tra il 2008 e il 2020 è sceso dal 36% al 28%, a fronte del 47% per il Centro-Nord e del 55% di media UE. Altro elemento di apprensione riguarda l’elevata percentuale di working poors, soggetti che pur lavorando a tempo pieno presentano un basso reddito e sono a rischio povertà, la cui percentuale è doppia rispetto a quella delle aree settentrionali e inficia anche la ripartenza dei consumi post-Covid. I segnali non sono incoraggianti anche per quanto riguarda l’inclusione femminile, con un tasso di occupazione pari (anno 2020) a circa il 35% (contro il 62% del Centro-Nord). I dati relativi all’occupazione femminile devono necessariamente essere analizzati in maniera connessa a quelli che Svimez definisce “divari di cittadinanza”, ad esempio in relazione all’istruzione: i posti in asilo nido per 100 bambini nella fascia d’età 0-2 anni sono pari a 15 al Sud, a fronte di una media nazionale di 27 e di un valore di 33,5 per il Centro-Nord. Il trend è simile per la possibilità del tempo pieno nella scuola primaria, presente nel 17,6% dei casi, rispetto a una media nazionale del 37,1% (quasi 48% al Centro-Nord).Per carità di patria, si omettono le statistiche relative alla dispersione scolastica, al calo delle immatricolazioni universitarie, al gap infrastrutturale, al trasporto pubblico, alla disponibilità di piste ciclabili, e così via.Per tutte le difficoltà richiamate, ad ascoltare il dibattito prevalente, la panacea di tutti i mali dovrebbe rinvenirsi nell’ormai famigerato PNRR, la cui attuazione, tuttavia, si interseca anche con un altro tema sottovalutato e trascurato da (quasi) tutti gli attori politici, che riguarda l’efficienza della Pubblica Amministrazione. Si tratta di un altro fattore che nel Mezzogiorno trova elementi di debolezza rispetto al resto del Paese, ad esempio nelle dinamiche di rinnovamento delle piante organiche e nella qualità del personale (il Comune di Palermo conta una quota di laureati inferiore all’11% della forza lavoro). Se si aggiunge che, al Sud, un cittadino su 3 vive in Comuni in situazione di crisi finanziaria, si comprende facilmente come la gestione degli enti locali costituisca un’ulteriore criticità su cui lavorare con efficacia e tempestività, anche per garantire la successiva gestione agli investimenti effettuati attraverso i fondi del PNRR (asili nido, infrastrutture sociali, aree a verde, ecc.). In definitiva, sarebbero ancora tante le criticità da affrontare: occupazione, partecipazione giovanile e femminile alla forza lavoro, qualità della P.A., ricomposizione di manifattura e terziario avanzato verso settori a maggiore specializzazione, diritti di cittadinanza basilari, “migrazione intellettuale”, dispersione scolastica, formazione del capitale umano, gap infrastrutturale.Rispetto a questi temi (in molti casi vere e proprie emergenze), così come sulle ipotesi di autonomia differenziata, il dibattito politico sembra però essere distante, incentrato com’è a trovare i colpevoli della crisi e a impostare la campagna elettorale, molto spesso, in una sorta di referendum pro o contro Draghi (che però – piccolo particolare – non è candidato).Sarebbe invece opportuno e qualificante ascoltare qualche proposta che non fornisca solo idee generiche, slogan o tweet, ma che delinei per il Sud una direzione di marcia concreta, che offra soluzioni reali e relative modalità di attuazione, oltre a indicare come reperire le risorse necessarie. Questo elemento sarà dirimente e costituirà un indicatore di serietà dei programmi dei vari partiti, anche alla luce di un debito pubblico ancora pari a oltre 2mila e 700 miliardi e di una riduzione di “soldi facili” da parte dell’Europa.
Solo in questo modo – forse – le formazioni politiche in competizione potrebbero sconfiggere il partito che attualmente è largamente maggioritario (quello dell’astensionismo), provando a creare un minimo di rinnovata fiducia verso la politica e le istituzioni.