di Monica De Santis
San Matteo ha chiamato e Salerno e i salernitani hanno risposto. Ieri oltre 4000 persone hanno presenziato alla Santa Messa concelebrata dal Cardinale Parolin, dal Vescovo Andrea Bellandi, dal ex arcivescovo di Salerno Gerardo Pierro e dagli altri quattro vescovi delle diocesi salernitane. Sul palco adagiata su di un trespolo ricoperto da un panno di velluto rosso e un telo bianco, la statua di San Matteo, ai piedi del palco, appoggiati su altri trespoli, a sinistra San Giuseppe e San Gregorio VII, a destra i Santi Martiri Ante, Gaio e Fortunato, poco più in là il coro della Cattedrale che ha eseguito brani liturgici durante tutta la funzione. Funzione aperta dall’arcivescovo di Salerno, Bellandi, che ha voluto ricordare in che misura questo periodo sia stato caratterizzato dalla pandemia: “E’ stato un periodo gravido di fatiche, incertezze, confusione, in cui tutti hanno sofferto e soprattutto i giovani. C’è desiderio di ripartire, affinchè ci sia una crescita economica e che si ristabiliscano i legami sociali alla ricerca del bene comune. San Matteo possa illuminare anche e soprattutto in questo momento come accaduto nel passato”. A suor Susanna il compito di leggere la prima lettura, poi il Vangelo e a seguire l’omelia del cardinale Parolinche ha ricordato la figura di San Matteo apostolo ed evangelista e il legame della città con il suo Patrono… “Potremmo dire che qui tutto è nel segno di San Matteo, tanto che anche il ritmo della vita sociale cittadina è scandita da un prima e un dopo la festività. Ad essa la chiesa locale si prepara con un particolare impegno, con una significativa visita della reliquia del braccio nelle realtà di sofferenza e di assistenza. Matteo è davvero il Santo di casa, è di famiglia, al quale sale spontaneo dal cuore dei salernitani, l’invacazione di richiesta di aiuto e di rendiento di grazie”. Poi ha proseguito portandano alla cittadinanza il saluto di Papa Francesco… “Ricordandovi il particolare legame di fedeltà che Salerno, lungo i secoli ha sempre conservato con Roma e la sede apostolica. Un legame rafforzato anche con la vicenda di Papa Gregorio VII, che qui esiliato, poco prima di morire, fece in tempo a benedire la Cattedrale dedicata all’apostolo. Papa Francesco come sapete, proprio nella festa di San Matteo, il 21 settembre 1953, la giornata degli studenti in Argentina, scoprì durante la confessione la sua vocazione al sacerdozio. Proprio per ricordare questo evento, quando è diventato Vescovo scelse come motto un espressione che si riferisce alla vocazione di San Matteo: Miserande atque eligendo. Che alcuni traducono lo guardo con misericordia e lo scelse. Oggi Papa Francesco conserva questa frase nel suo scudo pontificio. Il Papa ha più volte commentato lo sguardo di Gesù posato sul pubblicano Matteo. Uno sguardo che da solo basto a Matteo per seguirlo e diventare apostolo ed evangelista, esperto della misericordia del dare”. Parolin ha parlato tanto della figura di San Matteo nel corso della sua omelia e anche di ciò che il Santo ha dato alla città di Salerno, ricordandole che “i cambiamenti sono possibili. Che chi si lascia toccare in cuore da Gesù Cristo e dal suo Vangelo, può cambiare davvero. Qualcuno potrebbe opporre il proverbio secondo cui ‘chi nasce tondo non può muore quadrato’. E ciò può esser vero, se il cambiamento dovesse avvenire unicamente in base alle nostre forze. Ma la svolta di Matteo che da pubblicano divenne apostolo, avvenne proprio perchè si lasciò cambiare dalla grazia donatagli dal maestro. luce che vinse le tenebre come il Caravaggio mirabilmente mostro”. Ed ancora… “la sua è la storia di un capovolgimento verso una vita nuova non più ripiegata su se stessa. San Matteo ricorda che i cambiamenti verso il meglio sono possibili. Ci insegna la misericordia di Cristo proprio a partire dai suoi trascorsi. La condotta di San Matteo era stata tutt’altro che esemplare ma si può uscire da un passato fatto di cadute”. Per poi prendere spunto da un passo del poeta salernitano Alfonso Gatto in “Consiglo spassionato”, dove “esorta a non dare retta a coloro che atteggiandosi a maestri pensano di essere migliori degli altri. Chi vi inganna si fa sempre più alto di una spanna, mette sempre un berretto, incede eretto con tante medaglie sul petto. Ebbene San Matteo non era un uomo borioso, non si spacciava per perfetto, nel vangelo ci racconta umilmente la sua storia (…) Chi come San Matteo si lascia sanare da Dio diventa una persona salda, unitaria e senza doppiezze. Le persone unitarie sono quelle che non portano maschere la loro interiorità combacia con ciò che manifestano all’esterno. Una persona unitaria semina coesione ovunque si trovi. L’unità dunque non si costruisce a tavolino, ne tanto meno si improvvisa. Parte invece dalla nostra interiorità e si espande intorno a noi. Inizia dal nostro rapporto vivo con il Signore, è lio che ci rende unitari. San Matteo fu un costruttore di comunità grazie alla sua misericordia. Quando manca la misericordia non si costruisce nulla, mentre il cinismo ostentato da chi ripete che si è sempre fatto così non è che una scusa per non accogliere le novità del Vangelo ”. Non poteva mancare anche un accenno alla pandemia che ha “procurato morti e stravolto i ritmi della nostra vita, quello di assicurare ai tanti giovani del posto ai quali non manca la creatività e l’impegno per un impegno di dedizione e lavoro nella propria terra. Cari salernitani – ha aggiunto Parolin – avete il Vangelo di Cristo Salvatore, avete San Matteo. Affidatevi a lui, alla sua intercessione. Continuerà, come ha sempre fatto, a proteggere e guidare Salerno e i salernitani sulla via del bene”.