Ben ritrovati miei carissimi amici amatori, probabilmente qualcuno leggendo nel titolo “la Cripta del Duomo di Salerno”, avrà storto, con ragione, il naso: “ma come? l’ennesimo articolo sulla Cripta, su un giornale di Salerno? La conoscono tutti!”, eh sì, come darvi torto, troppo nota per darne solo qualche informazione, troppo complessa per esserne discussa in un solo foglio. Sapete, spesso mi trovo a fare i conti con opere di una certa importanza, così tanta da aver prodotto molta bibliografia, così tanta che ad un tratto sembra inutile parlarne. Queste opere rappresentano una sfida, quella di riuscire a divulgarle senza però banalizzarle, perché queste opere, anche se stra-conosciute, possono fornire sempre nuovi spunti di riflessione e questo è quello che vi propongo oggi.
Bene o male, tutti sappiamo che le spoglie del Santo evangelista, e forse martire, Matteo, si trovano nella cripta del Duomo a lui dedicato, le avremmo viste direttamente dalla cripta, o l’avremmo letto da qualche parte o sentito a messa, ce lo avranno raccontato a scuola o ci sarà stato tramandato oralmente; fatto sta che ogni salernitano sa che a Salerno sono conservati i resti di quello che per ovvie ragioni è diventato il Santo protettore della Città. Probabilmente molti sanno anche che queste sante spoglie arrivano dall’Etiopia, luogo in cui, la leggenda narra, San Matteo fu martorizzato, e che le stesse arrivarono sulla costa cilentana per restarci nascoste fino a quando furono trasportate da Capaccio a Salerno dal principe longobardo Gisulfo I e dall’arcivescovo Alfano I. Solo in un secondo momento, precisamente nel 1081, a seguito della costruzione della cattedrale del Duomo, furono deposte nella famosa cripta.
La cripta in questione, ogni salernitano l’ha vista almeno una volta, questa oggi appare come fu ricostruita nel XVII secolo, su ordine del re Carlo III, quando prese le attuali forme che conosciamo, quelle di uno sfolgorante stile barocco grazie al progetto dall’architetto Domenico Fontana e dal figlio Giulio Cesare.
Il sepolcro contenente, appunto, le reliquie del santo patrono della città di Salerno, è posto al centro della Cripta e rappresenta il “Sancta Sanctorum”. Sotto gli affreschi che raccontano gli episodi della vita di San Matteo e le opere miracolose avvenute a Salerno, ancora al di sotto dello splendido baldacchino troviamo la celebre, anzi le celebri, statue gemelle bronzee del Santo, opera del 1606 dello scultore Michelangelo Naccherino.
Ed è qui che mi voglio soffermare, su queste due opere identiche, che non sono il San Matteo portato in giro in processione, ma quelle fisse, inamovibili. Sono diverse le interpretazioni alla base della scelta di rappresentare il santo come doppio, al di là della logica strutturale, sostanzialmente i committenti e l’artista avranno fatto un’intelligente considerazione, ovvero che mettere due statue, invece che una, in una cripta circolare cosi da poter permette la visione del Santo ai fedeli da ambo i lati. È altrettanto vero che l’iconografia ricorda il dio romano “Giano bifronte”, bifronte per la presenza dei due volti: uno con lo sguardo verso il passato e l’altro indirizzato verso il futuro. Non si può far a meno poi di considerare la “doppia vita” di Matteo, quella di pubblicano prima e di apostolo dopo. Un ulteriore significato potrebbe alludere alla vita terrena e materiale e a quella sacra e spirituale. Gli occhi poi sono rivolti sia verso il mare sia verso le montagne, sottolineando anche le caratteristiche della città.
Le interpretazioni intono a questo oggetto, oggetto d’arte, si, ma pur sempre di una “cosa” si parla, hanno dato spazio alle considerazioni sul carattere stesso del popolo salernitano, specie nell’accezione negativa:
“I salernitani hanno due facce come San Matteo”. Il patrono diventa quasi il primo cittadino, rappresentante per antonomasia della doppiezza del carattere salernitano. “I Salernitani ingannano il diavolo” recita un altro motto, un secondo riferimento alla capacità di fingere e di dissimulare. Il salernitano sarebbe in questo modo un’ipocrita, da un lato ci sarebbe la parte accogliente e benevola, dall’altro quella riluttante e maliziosa. Ma in tutto questo che centra il Santo? Assolutamente niente! Non si parla della sua vita, né dei sui miracoli, né del suo carattere, non si parla di storie evangeliche, è l’opera che scavalca la storia, è l’arte che crea una nuova narrazione, che attribuisce nuovi significati. Se il San Matteo delle tele di Caravaggio custodite in San Luigi dei Francesi, portano il fedele, oltre che a godere della loro straordinaria qualità, a riflettere sulla vita e l’insegnamento del Santo, sul suo martiro e sul suo lascito; i bronzi di Naccherino, scavalcano il Santo prendendone il posto, lo annullano ed aggiungono un nuovo tassello di una storia che fondamentalmente esiste solo in uno eccellente oggetto che in questo modo prende e dà vita.
È questo lo straordinario potere dell’arte, è questa la vera potenza di un icona tutta salernitana.
Regina Mariarosaria Citro