“Il postino”, così Irene Cocco ha fatto rivivere Massimo Troisi - Le Cronache Attualità

di Mariarosaria Barone

Era il primo settembre del 1994 e il film “Il postino” veniva presentato al Festival del cinema di Venezia. Era un’occasione che doveva essere di festa per coloro che avevano lavorato al film. Ma non fu così perché Massimo Troisi ci aveva già lasciato. La curiosità era palpabile. Era un’opera che prometteva di trattare temi profondi, con sensibilità ed intelligenza, con la bellezza della narrazione e con la rigorosa misura con cui Massimo interpretava il suo personaggio. Per l’ultima volta si poteva ammirare Massimo in un’interpretazione sublime. Lo ricorda Irene Cocco nel suo libro “Il postino. La metafora di un’emozione” e noi l’abbiamo intervistata per voi.
Il suo libro “Il postino. La metafora di un’emozione” è un saggio di analisi del film capolavoro di Massimo Troisi. Così di getto mi viene da chiederle qual è questa emozione, la più grande che il film le ha suscitato tanto da farne una metafora?
«L’emozione principale che il film Il Postino suscita, e che mi auguro emerga anche nel mio libro, è la speranza. La narrazione ci mostra come, nonostante le difficoltà e le tragedie, come la morte di Mario Ruoppolo, la speranza e la poesia continuano a vivere e a essere fondamentali. Il finale tragico, con Mario che muore e la sua poesia calpestata dalla folla, potrebbe sembrare un simbolo di fallimento o di sconfitta. Tutt’altro: la poesia, anche se viene calpestata, non perde il suo valore. Anzi, proprio nella sua sopravvivenza alla violenza e alla repressione, la poesia diventa un simbolo di speranza, di qualcosa che va oltre il bisogno immediato e rappresenta ciò che ci rende veramente vivi. L’emozione centrale è quindi che, sebbene il mondo possa schiacciare la bellezza e l’idealismo, questi continuano a esistere e a dare senso alla nostra esistenza. Senza speranza, siamo tutti “morti che camminano,” ma con essa, anche nei momenti più bui, troviamo la forza per andare avanti».
Questo libro le è stato commissionato dal Comune di San Giorgio a Cremano, paese natale di Massimo, in occasione del trentennale dall’uscita del film “Il postino”, durante il tour delle presentazioni ed in particolare quella del 24 giugno proprio a San Giorgio, ha avuto modo di quantificare, valutare l’attaccamento della città alla figura di Massimo? È ancora vivo il suo ricordo? È sentito? È ancora la gente di Massimo?
«Massimo Troisi è un artista profondamente amato dai suoi concittadini, e il suo legame con la città è evidente in molti aspetti della vita quotidiana e culturale. La sua figura è celebrata certamente per il suo straordinario talento, ma anche per il suo spirito autentico e genuino, che continua a vivere nel cuore di chi lo ha conosciuto e ammirato. Uno degli omaggi più significativi alla sua memoria è il “Premio Troisi”, un evento spettacolare che porta con orgoglio il nome del loro amato beniamino. Questo premio non solo celebra il talento e la carriera di Troisi, ma rappresenta anche un’importante opportunità per giovani artisti e nuovi talenti di esibirsi e farsi conoscere. Il Comune di San Giorgio a Cremano, nella figura del sindaco Giorgio Zinno e del vicesindaco Pietro De Martino, hanno voluto questo libro di analisi e raccolta di ricordi sul film Il Postino proprio perché si commemorasse un anniversario importante, quello dei trent’anni dell’uscita del film».
L’ analisi del film che lei ci propone nel libro, non si limita ad un racconto delle tappe, ma è una celebrazione dell’artista Massimo Troisi che in questo film ci ha donato un’interpretazione leggendaria. Sappiamo tutti che Massimo ci ha lasciati subito dopo la fine delle riprese, crede che se così non fosse stato, le emozioni che la visione del film ogni volta ci provoca sarebbero le stesse?
«Sappiamo, nel profondo del nostro essere, che la fine è una compagna silenziosa, sempre presente all’orizzonte della nostra esistenza. Eppure, viviamo ogni giorno come se questo segreto non fosse vero, come se il tempo fosse infinito e le nostre emozioni potessero eternamente sfuggire all’inevitabile. Vivere ed emozionarsi di fronte a un’opera d’arte creata da qualcuno che non è più tra noi è un gesto che sfida il tempo, un ponte che ci connette a un’anima che ha lasciato il suo segno nel mondo. Questa emozione non è diversa da quella che proviamo quando un artista ancora in vita ci tocca il cuore con la sua creazione».
Irene, lei esplora i personaggi del film, le loro emozioni, i luoghi, le sfumature emotive regalando un’opera con molti spunti di riflessione anche sul mondo cinematografico. Infatti, molti interpreti del film sono intervenuti nella sua opera condividendo emozioni e ricordi. Com’è stato incontrarli? Quanto conservano di quel tempo trascorso con Massimo?
«L’emozione di incontrare gli attori di uno dei miei film preferiti è stata fortissima, un momento che mi ha regalato sensazioni mai provate prima. Nelle loro parole ho percepito una dolcezza infinita, un amore sincero per Massimo Troisi, e la gioia di aver fatto parte di un film così memorabile. Alcuni progetti portano con sé l’anima di chi li mette in moto, e ne Il Postino, senza ombra di dubbio, la presenza di Massimo Troisi è stata vitale, intrecciata in ogni scena, per infondere vita e magia alla storia».
Non contenta, ha raccolto le testimonianze di altri artisti e critici cinematografici. Faccio giusto qualche nome: Carlo Verdone, Rocco Papaleo, Paolo Ruffini, Gianni Simioli, Ale e Franz, Alessandro Preziosi, Francesco Baccini che hanno regalato riflessioni sul film e su Massimo. In questo modo lei ha potuto arricchire il suo libro con le prospettive personali di personaggi che, come Massimo, hanno dedicato la loro vita al cinema. Secondo lei, oggi, la passione e la dedizione al cinema “paga” quanto faceva 30 anni fa? O le cose sono cambiate alla luce di tutte le nuove tecnologie, canali di comunicazione, streaming e piattaforme? Ha avuto modo di raccogliere questa informazione? Cioè, il cinema di adesso e quello di trent’anni fa è lo stesso?
«Il cinema, negli ultimi trent’anni, ha subito una trasformazione profonda, influenzata da molteplici fattori. Se trent’anni fa il cinema rappresentava un’esperienza collettiva, vissuta principalmente nelle sale cinematografiche, oggi la fruizione è diventata sempre più individuale e frammentata, con l’accesso ai contenuti che avviene in maniera quasi istantanea, ovunque e in qualsiasi momento. Questa rivoluzione tecnologica ha certamente modificato il modo in cui il cinema viene prodotto, distribuito e consumato. La passione e la dedizione al cinema, tuttavia, restano centrali per chi sceglie di dedicare la propria vita a quest’arte. Ma la “ricompensa” non è più la stessa. Se da un lato le nuove tecnologie hanno democratizzato l’accesso alla produzione cinematografica, dall’altro hanno anche moltiplicato le sfide. Il mercato è più saturo, la concorrenza più agguerrita, e la possibilità di emergere dipende non solo dal talento, ma anche dalla capacità di navigare questo nuovo ecosistema digitale. Quindi, mentre trent’anni fa il successo poteva essere più legato a un percorso lineare e alla consacrazione attraverso le sale cinematografiche, oggi richiede una visione più ampia, che includa competenze nel marketing digitale, una comprensione profonda delle dinamiche social, e una flessibilità nell’adattarsi a nuovi formati e linguaggi. Il cinema di oggi non è, a mio parere, lo stesso di trent’anni fa! La sua essenza, quella capacità unica di raccontare storie che toccano l’anima, rimane immutata. La passione e la dedizione “pagano” ancora, ma in modo diverso, chiedendo agli artisti non solo talento, ma anche un adattamento costante e una visione aperta al futuro».

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