Il pentito Sorrentino vuole la libertà - Le Cronache
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Il pentito Sorrentino vuole la libertà

Il pentito Sorrentino vuole la libertà
Si torna davanti ai giudici del tribunale della Sorveglianza di Roma per discutere se revocare gli arresti domiciliari al pentito Sorrentino, genero di Dante Zullo. Lo ha deciso la Corte di Cassazione.  “E’ vero che Giovanni Sorrentino è un collaboratore di giustizia  ma è altrettanto vero che da pentito non ha mai fatto nulla per la collettività… E il giudice, nel valutare il sicuro ravvedimento dell’istante, deve tener conto di più indici sintomatici quali l’ampiezza dell’arco temporale nel quale si è manifestato il rapporto collaborativo, i rapporti con i familiari e il personale giudiziario, lo svolgimento di attività lavorativa, di studio o sociali, successive alla collaborazione  e non può attribuire rilievo determinante  alla sola assenza di iniziative risarcitorie nei confronti delle vittime dei reati commesso”, con questa motivazione  i giudici del palazzaccio romano hanno annullato la decisione del Tribunale di Sorveglianza capitolino cui il pentito, ex genero di Dante Zullo boss di Cava de’ Tirreni con affari e amicizie nell’Agro nocerino, aveva fatto richiesta di revoca dei domiciliari. Tocca nuovamente al giudice del Tribunale di Sorveglianza capitolino decidere sulla richiesta del collaboratore di giustizia. “Il Sorrentino, scrive la la Sorveglianza-, pur avendo tenuto un comportamento corretto e rispettoso delle prescrizioni della misura concessa nel 2016, non ha intrapreso nessuna azione in favore della collettività a titolo di condotta riparativa”. Per il difensore l’ex genero di Dante Zullo aveva avviato un prolungato percorso di collaborazione, ha usufruito di tutti gli istituti premiali, ha puntualmente rispettato tutte le prescrizioni ed ha conseguito indiscussi progressi trattamentali, oltre che un elevato livello di reinserimento sociale.  “Il   ravvedimento deve essere formulato sulla base di un completato percorso trattamentale di rieducazione e recupero che sia in grado di sostenere la previsione, in termini di certezza e non di mera probabilità, dell’evolversi in senso positivo della personalità del condannato verso la definitiva conformazione al quadro ordinamentale e sociale a suo tempo violato”, scrive la Cassazione.   “La condotta collaborativa, anche se indicativa di una revisione critica, non deve  essere tenuta presente da sola, ma va sempre posta in relazione ad altri determinanti parametri, non solo alla gravità dei reati in espiazione. Quanto, infine, al parere obbligatorio espresso dal Procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo, esso non ha carattere vincolante, ma, tenuto conto che detta autorità è chiamata a esprimere una valutazione motivata in ordine all’attualità dei collegamenti tra il condannato e la criminalità organizzata, il Tribunale, ferma restando la sua libertà di giudizio in merito alla concessione dei benefici penitenziari, non può tralasciare le argomentazioni espresse o non considerarle”, aggiunge la Cassazione.