Successo al centro sociale per La ballata degli esclusi spettacolo diretto e interpretato da Antonello De Rosa con l’omaggio a Fabrizio De Andrè del gruppo Volta la carta
Di GEMMA CRISCUOLI
Per un borghese, coloro che vivono ai margini della società, peso insopportabile, meritano solo una condanna. Non sa immaginare che proprio da quella prospettiva le cose sono restituite alla loro essenza. “La ballata degli esclusi”, spettacolo diretto e interpretato da Antonello De Rosa presso il Centro Sociale di Salerno, ha visto l’omaggio a Fabrizio De Andrè da parte di Vladimir Luxuria con il gruppo Volta la carta. In una sorta di anticlimax, l’esibizione si muove dalla tragedia di un popolo al microcosmo di individui non allineati. Si passa così dal lancinante lirismo di “Fiume Sand Creek”, dove è negato agli Indiani il diritto alla storia oltre che alla vita, al dramma di “Andrea”, per giungere al cortocircuito emotivo delle sonorità di “Creuza de ma”, che mescolano passato e presente. Il miraggio della felicità in “Princesa”, creatura estranea alle convenzioni, trova un contraltare ne “La canzone dell’amore perduto”. Ed è appunto l’amore l’unica legge a cui obbedire, come mostra “Il testamento di Tito”, che smaschera la violenta ipocrisia delle imposizioni religiose. La scanzonata spregiudicatezza di “Quello che non ho” apre la strada a quel classico che è “Bocca di Rosa”, che viene a creare un dittico con “Via del campo”, dove il corpo della prostituta è sacralità dei sensi, ma anche oscuro approdo dei falsi moralisti ne “La città vecchia”. Si passa poi dal sarcastico capovolgimento sociale di “Don Rafael” alla struggente tenerezza de “La canzone di Marinella”, assaporando poi tutto il buio rancore di “Un giudice”. L’evasione dalla norma, l’incapacità di tenere a freno la parte più profonda di sé dilaga in “Dolcenera” e la conclusione non può che essere affidata a “Volta la carta”, ironica altalena tra illusioni e delusioni. Le parole di De Rosa legano il percorso di Faber a un immaginario partenopeo di empatia e desiderio e tra coreografie e inviti di bimbi a non cedere all’emarginazione, Luxuria, che invita a riprendersi i sogni, a riappropriarsi della fantasia, si muove con la disinvoltura di chi ha fatto da tempo del palcoscenico la sua casa. La sua vitalità conquista immediatamente il pubblico e lo conduce a rivivere le seduzioni di un artista che ha scelto di essere dispari. Chi vuole lasciarsi soffocare dalle categorie non ha niente da spartire con De Andrè, conoscitore attento di quel guinzaglio sempre più stretto che è il perbenismo.