Daniel Oren da Bilbao non ha voluto far mancare la sua testimonianza per la perdita dell’Uomo, dell’Artista, dell’Amico, con il quale ha firmato due indimenticabili produzioni, Carmen e Nabucco. “Durante le prove un silenzio tombale, tutti volevamo imparare dall’uomo di teatro. Non accade mai che regni il silenzio, solo con coloro i quali si avverte il sacro fuoco dell’arte ardergli dentro”
Di Olga Chieffi
“E’ una giornata tutta da piangere questa – ha affermato commosso Daniel Oren che abbiamo raggiunto a Bilbao in Spagna, ove ancora è viva una programmazione musicale, anche se in forma accortamente ridotta e con prove fuori del teatro – perché con Gigi Proietti ho perso l’Uomo, l’Artista e l’Amico. Noi artisti non siamo mai tanto sicuri di noi stessi, beato chi riesce ad esserlo. Famosa per la sua paura del pubblico, la più grande, la divina, Maria Callas. Lei non voleva assolutamente vedere il pubblico, e non metteva le lenti a contatto, lo avvertiva, ne sentiva l’odore, l’afrore delle bestie feroci pronta a sbranarla, così pensava Maria. Una volta in prova con Tullio Serafin, inforcò le spesse lenti e vide finalmente, ma non una battuta venne a tempo, Lei aveva bisogno di restare in quella nebbia e di estranearsi da tutto e tutti per poter riuscire. Io ho brigato tanto per far venire Gigi a Salerno. Io e Antonio Marzullo, naturalmente, la mia spalla. La spalla è importantissima, Totò non era nessuno senza le sue famose spalle. Non so quante volte Antonio è andato a Roma per convincerlo e credo sia stato il nostro composto sorriso, la nostra solarità, a convincerlo. Io sono israeliano, ma sono anche vostro concittadino, e solo così si è riuscita a sciogliere quella renitenza, dettata solo dalla paura di una velata inesperienza nel teatro d’opera. Invece, Proietti si è rivelato subito un eccezionale regista che mi fece ricordare Giorgio De Lullo, uno dei nomi più luminosi del teatro di prosa italiano. Eravamo all’ Opera di Roma nel dicembre del 1980, per “I due Foscari”. Lui recitava tutte le parti ed era una cosa emozionante, veniva fuori tutto. Con i registi che provengono dal teatro di prosa, il lavoro sul libretto e con i cantanti è molto più profondo e diverso quando si possiede un background teatrale di parola. Ciò non vuol dire, per carità, che un grandissimo regista di teatro o di cinema possa riuscire anche nell’opera lirica, ma ci sono delle eccezioni e queste sono Luchino Visconti, Franco Zeffirelli e, appunto, Giorgio De Lullo, che io non conoscevo, era un mostro di bravura. Mentre si provavano I Due Foscari, in un silenzio tombale, noi tutti tremavamo. Il cast schierava Renato Bruson, Carlo Bergonzi e il ruolo di Lucrezia era della Maria Parazzini, una voce d’angelo. Giorgio De Lullo prendeva Maria, la metteva in un cantuccio e recitava la sua parte e noi, muti ad ascoltare. La sera della prima fummo parte di uno spettacolo di rara bellezza. Ebbene quel silenzio di tomba l’ho ritrovato sul palcoscenico del teatro Verdi di Salerno con Gigi Proietti regista di Carmen e Nabucco. Le abbiamo godute tutti, quelle due produzioni con Proietti, lui stesso, gli artisti, l’orchestra, io e anche il pubblico. Dicevamo del silenzio in palcoscenico: raramente si ottiene, è sempre un gran baccano, brusìo, chi più chi meno, gli inglesi son più silenziosi, gli italiani più chiassosi, ma solo se non arriva colui che ti ammalia, che crea quella magia. Con Gigi Proietti, il cast, l’orchestra, avvertirono quel suo fuoco e tutti noi abbiamo imparato da lui ( aveva creato quel “gelo” con cui definiva il teatro Eduardo De Filippo n.d.r.). Vennero fuori quelle due eccezionali produzioni, prima la Carmen, poi Nabucco, perché Gigi sapeva fare teatro, sapeva farsi amare dalla gente, sapeva in primo luogo circondarsi delle persone giuste e amava la musica. Gigi sapeva che la musica viene prima della regia. Prima Bizet, prima Verdi, uno dei pochi ad esserne convinto: se inverti questa sequenza come regista sei finito. Oggi pochi sanno come andare incontro ai cantanti, creare una regia che possa far esprimere gli artisti liberamente. Qui a Salerno grazie anche all’accoglienza particolare che la città sa offrire, quelle ombre che avevano fatto titubare Gigi si dileguarono e lui ha dato il meglio di sé, sconfiggendo il timore che lo attanagliava. A Salerno ha vinto con il suo carisma di uomo di teatro e con la sua simpatia, con l’assoluta conoscenza della partitura, con il lavoro e con il dialogo, senza alzare muri come è aduso qualche regista indefinibile, che purtroppo, pur riesce a sfondare. Proietti desidero associarlo a Leonard “Lenny” Bernstein, uno dei miei maestri, che non creava muri, perché non bisogna aver paura del contatto, del dialogo, di scambiare una parola con tutti, anche se si è stanchi. Sa cosa significa dominare un coro di ottanta persone? Bisogna avere carisma. Gigi Proietti bastava mettesse piede in palcoscenico e lo riempiva, da solo. Oggi si piange un artista totale. Il mio popolo augura a chi ha perso una persona cara un genitore, in questo caso un maestro, che “non sappia più cosa sia tristezza”. Auguro a tutti di non avere più tragiche notizie come questa della perdita di Gigi Proietti”.