Il flauto di Vincenzo Scannapieco sul sentiero dei limoni - Le Cronache
Spettacolo e Cultura

Il flauto di Vincenzo Scannapieco sul sentiero dei limoni

Il flauto di Vincenzo Scannapieco sul sentiero dei limoni

 

Gran concorso di pubblico nell’incantevole cornice della chiesetta di San Michele in Torre a Minori, che ha ospitato la performance solistica del flautista

 

 

Di Olga Chieffi

Un piccolo cartellone musicale, animerà la chiesa di San Michele in Torre di Minori. Il territorio dove è ubicato questo gioiello è attraversato da una lunga strada composta da 600 scalini che parte ai piedi della collina minorese per poi giungere a Maiori. Non si hanno notizie precise sulle origini di Torre, il suo nome deriva da una piccola fortificazione, di cui non si riscontra più traccia, esistente già al tempo della repubblica indipendente. Gli abitanti del borgo hanno sempre avuto un forte legame con la propria chiesa ed in particolare una venerazione per il loro patrono, San Michele Arcangelo. La chiesetta occupa il centro del paesello, nel borgo medievale di Torello, in un contesto paesaggistico rurale affascinante. Ad inaugurare la rassegna è stato il flautista Vincenzo Scannapieco, una delle gemme della scuola flautistica e di fiati del Conservatorio “G.Martucci” di Salerno, formatosi al magistero del M° Domenico Giordano. Il concerto, che ha accomunato la visita guidata della Chiesa, assaggi enogastronomici, nonché una riflessione sullo strumento prima del concerto, ha vissuto diversi momenti conviviali. Con l’ausilio del servizio pubblico di trasporto locale dalla piazzetta di Minori, dinanzi la Chiesa di Santa Trofimena, si è raggiunta la frazione di Torre e ci si è riuniti nella piazzetta antistante la Chiesa, da dove ha preso le mosse una visita guidata dell’antico edificio, luogo di culto dal I° secolo d.C. Lì ci ha accolto Vincenzo Scannapieco con due fantasie di Georg Philipp Telemann, pubblicate tra il 1732-33. In queste due pagine è stato interessante notare gli espedienti utilizzati da Telemann per dare l’ illusione della polifonia con un solo strumento, come l’accostamento delle frasi, spesso con cambi di ottava che generano effetti di domanda e risposta fra voci diverse, e la condotta di due linee melodiche simultanee che riserva le note in battere per una ‘voce’ e quelle in levare per un’altra. E’ seguita, quindi, la Sarabanda, dalla partita in La Minore BWV 1013 composta da Johann Sebastian Bach alla corte di Cothen. Di dieci anni precedente l’opera flautistica di Telemann, è una pagina in cui apprezzeremo la ricerca del suono di Vincenzo Scannapieco, che ha saputo sottolineare l’elaborazione tematica e polifonica e l’escavo armonico, altrettanto mirabile, che sotto apparenze semplici, lascia trasparire la ratio compositiva che guida il discorso bachiano attraverso un tracciato di una trasparenza e di una semplicità talora disarmanti, nella sottile speculazione di premesse tematiche o contrappuntistiche e nel sagacissimo sfruttamento delle ancora sostanzialmente inesplorate peculiarità dello strumento. Balzo in avanti, nel tardo-romanticismo con Karg Elert, del quale Vincenzo Scannapieco ha scelto di eseguire il primo dei 30 capricci op.107 e la sua Chaconne, letteratura che si pone agli albori della costruzione del flauto Boehm, pur guardando a Bach, sulle tracce di molteplici artifici contrappuntistici, ma salvaguardando la sconfinata tavolozza timbrica del suo periodo. Finale con una riflessione sul rapporto del flauto con il fauno, con l’espressività cui Claude Debussy dà voce in Syrinx nella sua aderenza alla natura stessa del flauto, che ne diventa di fatto il linguaggio peculiare; e, come tale, assume ben presto le caratteristiche di un “vocabolario” comunemente accettato, cui compositori ed esecutori attingono, talvolta inconsapevolmente. L’ incidenza di Syrinx  sulla letteratura flautistica, però, non si limita all’ ambito linguistico. Infatti, il brano viene ad assumere una dimensione esemplare, imponendosi come modello: sulla sua scorta fiorisce una folta produzione di composizioni per flauto solo che ne condividono ispirazione e carattere, dando luogo a una sorta di sottogenere a sé nell’ambito della musica per flauto solo. Si tratta di composizioni accomunate – oltre che, naturalmente, dal ricorso al modello linguistico-espressivo debussiano – da una medesima tendenza all’enunciazione evocativa, al senso del mistero, fino al misticismo; nonché, talvolta, dall’assunzione di movenze vagamente danzanti. In questo nuovo repertorio, il rapporto con il brano che ne costituisce la fonte d’ispirazione si configura in una varietà di soluzioni, come nella Danse de la chèvre di Arthur Honegger. Il compositore allo stesso modo, riporta il mondo del mito al presente: il suo fauno è colto, non senza una certa ironia, nell’atto di danzare – altro elemento caro a Debussy e alla sua visione profondamente religiosa dell’arte; ma quella danza è mossa da una cadenza animalesca e spietatamente meccanica a un tempo. Il timor panico vi risuona in due forme: quella, ancestrale, dell’umanità nuda davanti alla Natura e al mistero dell’Essere; e quella, figlia dei tempi più recenti e del ventesimo secolo in particolare, che nasce dalla meraviglia provata di fronte alla potenza della macchina e della tecnologia, che è, in ultima analisi, quella dell’uomo perdutosi nella contemplazione di se stesso.