Oggi, alle ore 11,30, verrà inaugurata presso la Galleria Il Catalogo la 48ª stagione espositiva con la mostra dedicata al pittore americano, con una selezione significativa della sua produzione artistica.
Di Olga Chieffi
Pittura, pensiero e musica, al servizio di un’arte che ambisce ad essere sperimentale è l’essenza dei pennelli di Mark Kostabi che questa mattina, alle ore 11,30 inaugurerà la 48ª stagione espositiva della galleria salernitana Il Catalogo di Lelio Schiavone ed Antonio Adiletta. Venti opere dell’artista americano di ascendenze estoni, il quale riesce a dividersi tra il suo piano jazz, composizione, scrittura, produzione e le mostre in tutto il mondo, mantenendo il suo leggendario studio di New York, Kostabi World, in cui venticinque assistenti eseguono il suo lavoro, continuando a vivere a New York per quattro mesi l’anno, ma abbracciando il mondo dell’arte italiano e la sua tradizione, che ormai da oltre quindici anni lo accoglie. La galleria Il Catalogo ospiterà la produzione dell’ultimo decennio, complesse composizioni a figure multiple, molte con tratti severi in bianco e nero, altre decisamente forti schizzate da una generosa tavolozza di cromie calde e fredde contrastanti. Kostabi rivela sulle tele i risultati della sua esplorazione dei temi dell’alienazione, della solitudine, del corto circuito informativo, della tecnologia rampante, dell’aggressione industriale, dell’ambizione artistica, dei trucchi commerciali, dell’ipocrisia, della vuota idolatria, della produzione meccanica dell’arte, della pressione per una produzione fine a se stessa, e della compartimentalizzazione dell’animo umano. Diverse opere fanno riferimento all’arte italiana, in cui l’artista riflette sull’architettura razionalista quale contorno naturale delle sue creature senza volto, per cui è conosciuto. La teatralità dell’assurdo ha arruolato lo sradicato fascino dell’incubo con la cancellazione degli occhi dai visi metafisici. Essi non servono più, il tramandare ha esaurito le provviste di simboli. I pennelli di Kostabi non si fermano più alla pittura, non investono più nei limiti delle regole delle definizioni. La sua cultura dell’arte annuncia l’eminente disastro, la perdita dei volumi nelle menti. Un drammatico capogiro annebbia le ultime coscienze di chi osserva l’opera e nasce il rimpianto amaro per le perdute armonie. Comune denominatore è quello spirito dissacrante che, sin dagli esordi risalenti all’inizio degli anni Ottanta, ha caratterizzato la sua pittura. L’immagine pittorica è il risultato lucido della coscienza culturale del pittore, tutta intera, quando essa incontra la vera essenza degli eventi, essenza che gli appare labirintica nei due livelli raccordati della realtà presente e della memoria culturale, della oggettività e della soggettività. Colore e luce sono costituenti materiali dello spazio che il fruitore tenta di cogliere nella sua peculiarità: costituenti, informati essi stessi nei e dei caratteri che lo determinano: cioè, quelli d’uno spazio che è contenuto del racconto ed insieme generatore del tema: nel distacco necessario e sufficiente alla narrazione e all’espressione delle passioni, luce e colore (in cui la prima si realizza) vengono a connaturarsi alla materia dell’accadere e al segno che lo coglie: si piegano al contenuto, si offrono a generare il clima tematico. La materia, intesa come contenuto narrativo, anche dove si definisce con crudezza, è sempre “umana”, perché sottoposta a curiosa interrogazione, indagata, oggettivamente narrata. La plasticità, deriva dall’idea e dalla funzione che la materia assume, nella composizione: vale a dire materia in quanto vaneggiare di un corpo, come in “Off-Key” del 2008. L’identità del tema del “corpo” con quello della “materia” e della “sonorità” dei toni, della capacità dei segni di scrivere senza descrivere è la malleabile identità stessa, del colore-luce con lo spazio contenuto-generatore della narrazione: è il connaturarsi del colore-luce al corpo-materia, alla sua plasticità decorativa e alla sua decoratività plastica. Le sue figure sono apparizioni che emergono nello spazio delle attese e del buio delle cose e ne rompono l’equilibrio fissando l’evento e il racconto. Le masse figurali non hanno necessità d’essere destrutturate: l’energia è solo e tutta interna e non può giungere alla forzatura, alla deformazione, alla caricatura; questo spazio specifico è la condizione formale di quella stabilità figurale, di quella distribuzione della materia dei pieni e dei vuoti. Nell’espressione, la figurazione si carica dei valori mnestici, delle relazioni e delle allusioni con cui l’immaginazione va alla scoperta dell’anima delle cose, diventa elemento di supporto, carattere portante della composizione, non prodotto secondario di questa. È la figura attraverso l’espressione che si proietta nella costruzione di questa specifica mimesi, d’un mondo che guarda all’intimo della realtà, a ciò che sta dentro ed oltre di essa, ad un “racconto” che si sviluppa lungo i sentieri del mondo delle ombre della realtà comunicando, al contempo, un’immensa gioia.