“Io per la camorra e per gli affari non guardavo in faccia nessuno. Se era necessario ero pronto ad uccidere anche mia madre”. Uccidere, ammazzare, liquidare: concetto che ricorrerà spesso nell’interrogatorio di Sandro Contaldo, detto Sandrino o’ pazzo. Ai vertici della malavita paganese degli anni ‘90, per anni considerato uno degli irriducibile ed ora collaboratore di giustizia. Ieri, collegato in videoconferenza quale teste nel processo in Appello nei confronti dell’ex sindaco Gambino e dei Petrosino D’Auria, ha riferito, con assoluta cinicità, gli efferati delitti commessi. Con la stessa disinvoltura con la quale si discute sorseggia un bicchiere a pranzo. Ed il riferimento non è puramente casuale visto che Contaldo ha affermato di aver pianificato a tavola, con altri noti esponenti della camorra, la strategia per eliminare i fratelli Antonio e Michele Petrosino D’Auria e, soprattutto, Alberico Gambino. “Nonostante fossi in carcere ho continuato a fare il camorrista fino a due anni fa – ha spiegato Sandrino ‘o pazzo. Non avevo più il controllo militare del territorio ma avevo importanti amicizie sia in carcere che fuori che permettevano di avere piena conoscenza di quanto accadeva fuori dal carcere. Venivo invitato a tutti i tavoli più importanti. Fu Federico Chessa, dopo essere stato arrestato, a spiegarmi quanto stava accadendo a Pagani e che gli equilibri stavano per cambiare. Tutto ciò mi fu confermato da Domenico Ferraioli. L’emergente di quegli anni era Antonio Petrosino D’Auria che faceva leva sul matrimonio con la figlia di Fezza ed infatti ha utilizzato i cognati, Luigi e Francesco, come parafulmini. Loro sono stati mandati in avan scoperta per commettere omicidi che hanno poi pagato con la pena dell’ergastolo. Lui è rimasto sempre in una posizione più defilata”. Contaldo precisa al pg, il sostituto antimafia Vincenzo Montemurro, ed ai giudici della Corte d’Appello che… “non è corretto parlare di clan Petrosino D’Auria-Fezza in quanto a Pagani gli unici che contavano erano i Petrosino D’Auria. Per quello che so Michele è una persona molto schiva, scrupoloso nel bruciare i pizzini ed aveva un odio profondo nei confronti del mio clan. Antonio è il leader assoluto del gruppo mentre Michele cura i rapporti con la politica e si occupa del mantenimento dei detenuti (successivamente preciserà che iul papà, Gioacchino Petrosino D’Auria, non “contava niente”). Facevano parte del clan Vincenzo Confessore, il sindaco Gambino ed il vice Massimo D’Onofrio. Quest’ultimi erano un’unica cosa con Petrosino D’Auria. Li avevano aiutati in campagna elettorale: gli avevano fatto avere i voti ed erano stati lautamente ricompensati mi disse Ferraioli. Quest’ultimo si lamentava del crescente potere e del fatto che “mangiavano” soltanto loro. Nello specifico Petrosino con la Multiservice in gestione, poi gli facevano pagare pochissimo il fitto di un’appartamento. Inoltre avevano veicolato la gestione di una farmacia comunale ad un parente. Queste cose mi furono confermate da Nicola Fiore che sottolineò che i Petrosino D’Auria avevano in pugno Gambino. Inoltre diversi imprenditori non erano altro che i prestanome dei D’’Auria. Conferme mi arrivarono anche da Chessa. Nel corso di una riunione, alla quale prese parte anche Nicola Fiore, decisi che bisognava uccidere Antonio e Michele Petrosino D’Auria e lo stesso Gambino (leggerete a parte). Moccia mi invitò a riflettere, nel frattempo avevo avviato contatti anche con la ‘ndrangheta calabrese e poi, successivamente, si presentò, nel 2010, una nuova occasione con il clan De Feo della Piana del Sela. Io e Giuseppe D’Agostino avevamo fatto un favore importante a Pasquale De Feo in relazione alla morte del fratello e lui era pronto ad aiutarci”. Contaldo ha anche riferito che Petrosino, prima di prendere la leadership degli affari su Pagani, avrebbe dovuto parlare con lui. Nel corso dell’udienza “Sandrino o’ pazzo” ha più volte ribadito l’appartenenza del sindaco Alberico Gambino e di Massimo D’Onofrio al sodalizio criminale. Rivelazioni e nuovi particolari che torneranno d’attualità nelle prossime udienze quando saranno chiamati in causa alcune delle persone (Domenico Ferraioli, Federico Chessa e lo stesso Moccia) chiamante in causa da Contaldo per valutare l’attendibilità della testimonianza.
Non solo i Petrosino D’Auria. Sandro Contaldo, nel corso del summit con Nicola Fiore ed altri esponenti della malavita, aveva deciso che anche Alberico Gambino doveva morire. Nel corso dell’udienza di ieri, davanti ai giudici della Corte d’Appello (presidente Tringali), il collaboratore di giustizia ha precisato anche le modalità con le quali aveva deciso di eliminare il sindaco di Pagani. “Doveva essere un omicidio di lupara bianca. L’idea era quello di un finto posto di blocco. Subito dopo il nostro “commando” sarebbe entrato in azione per compiere il delitto e poi avremmo provveduto a far scomparire il corpo. Non si sarebbe dovuto ritrovare”. Sandrino o’ pazzo ha spiegato anche il movente dell’omicidio. “Gambino era la “testa di ponte” e venendo meno lui il gruppo avrebbe perso forza, solidità, e sarebbe stato più facile eliminare dalla scendai fratelli Petrosino D’Auria”. Contaldo ha anche ammesso di aver sottovalutato l’attuale consigliere regionale. “Anche io a 18 anni frequentavo la Pagani bene come Alberico Gambino. Ho avuto modo di frequentare anche lui. Quando ero ai domiciliari mi portò cinquantamila euro ma questa non un’estorsione nei confronti del papà di Gambino, che aveva le autoscuole, ma soltanto una percentuale rispetto al giro d’affari legato alle patenti. Tutti le compravano all’epoca. L’ho fatto anche io, mi passarono le risposte del quiz per passare l’esame. Fu lui a riferirmi della discesa in campo del figlio in politica per chiedere il mio appoggio ma io non diedi molto peso alla cosa pensando che anche se avesse avuto successo politico si sarebbe dovuto rivolgere al sottoscritto. Sinceramente sottovalutai Gambino”.
(g*)