Il cappio che si stringe al collo di Costituzione e Democrazia - Le Cronache Attualità

 

di Aldo Primicerio

La prima stretta gliela darà la cosiddetta “riforma della giustizia”. Una definizione impropria e tecnicamente sgrammaticata con cui Meloni e Nordio indicano la separazione delle carriere. Mentre il coro dei vocianti su giornali e tv cazzeggiava sulla “stronza” di De Luca alla Meloni, il CdM, zitto zitto quatto quatto, diceva sì ad otto articoli che riscrivono il titolo IV della Costituzione. Innanzitutto le carriere separate tra Pm e giudici, tra inquirenti e giudicanti. Una separazione, epocale per Meloni-Nordio, ridicola ed inutile per noi. L’abbiamo scritto e documentato, e lo ribadiamo. Nell’ultimo report ministeriale sui cambiamenti di carriera – attenzione, prima della riforma Cartabia e prima dell’ultimo emendamento che fissava i passaggi ad uno soltanto – negli ultimi 15 anni dal 2008 al 2023, su 9.048 magistrati italiani il 74,1% non ha chiesto alcun passaggio. Quelli che ne hanno chiesto uno è stato appena il 16%. Significa che i diretti interessati, i magistrati, non mostrano alcuna attenzione ad alcun passaggio di carriera, se non forse quando sono attratti da un cambio di sede geografica di lavoro.

 

“Riforma della giustizia”. Un impegno con gli elettori? O piuttosto con Silvio?

Dicono Meloni, Nordio, Salvini e Tajani: sulla giustizia questo Governo aveva preso un impegno con gli elettori. Ma non ci risulta che noi cittadini l’avessimo mai espresso. Noi cittadini italiani abbiamo ben altri problemi e sogniamo altre riforme. Quella sul lavoro, quella sul fisco, quella sugli anziani che sono ormai un terzo del Paese, quella sulla sanità, che questo governo manifestamente e clamorosamente ignora. La sensazione è che un impegno c’era, ma forse era quello preso con Berlusconi, il cui sogno ora rischia di essere coronato. Nell’esultanza di Tajani e di mezza maggioranza, ed anche della famiglia di Silvio che, non si discute, fu grande imprenditore e grande politico, ma anche uno che condannato in via definitiva per frode fiscale e quindi dichiarato decaduto da senatore in una infuocata seduta del Senato nel 2013. Qualcuno ha scritto che anche Giovanni Falcone era anche lui a favore di una distinzione tra Pm e giudice. Per una distinzione e differenziazione sì, ma non per una separazione. Non intendeva certo quello. Le due restano funzioni diverse di una sola carriera. Ed il passaggio da una all’altra non è come una tarantella, quando si cambia il braccio del/della partner nella danza. Dopo aver superato il duro concorso, il neo-magistrato viene convocato con i suoi neo-colleghi ad un’assemblea dove viene pubblicamente chiamato a scegliere tra la carriera giudicante e quella inquirente, e poi a indicare la sede di lavoro. Una scelta che parte da molto prima, dal di dentro, quindi da una convinzione interiore, a lungo meditata, e che di rado egli chiede di cambiare. E se lo fa, è probabilmente solo per una sede di lavoro più favorevole. Ecco spiegato perché la separazione è un non-problema, poi enfaticamente eletto a problema dal duo Giorgia-Carlo. Ed infine l’istituzione di quest’Alta Corte Disciplinare che si esprima su errori ed illeciti dei magistrati, vista la presunta irresolutezza del CSM bloccata dal correntismo. Insomma, da una parte il controllo della politica sui PM, che sono invece un irrinunciabile elemento di garanzia della giustizia e del Paese, e dall’altra uno schiaffo al CSM, solo da migliorare e non da cassare, ed al suo Presidente, il Capo dello Stato.

 

Il premierato. Una soluzione moderna, o un inganno per ribaltare Costituzione, Capo dello Stato e diritti dei cittadini-elettori?

L’altra stretta al cappio potrebbe dargliela il premierato. Il ddl sta andando davanti al Senato. Una riforma che Paolo Maddalena, Vice-Presidente Emerito della Corte Costituzionale, definisce improponibile, improcedibile ed inammissibile. Perché improcedurabile, in quanto vìola gli artt. 3 e 54 della Costituzione. A meno che il triumvirato Meloni-Salvini-Tajani, cui si affianca il quadrumviro Renzi, non voglia cancellarli tutti. Forse perché pensa di riscriverla in toto quella Costituzione scritta nel sangue di tutti quelli che vi si immolarono, trascinati in una guerra assurda dalle follie del fascismo. Prima di votare sì, i senatori devono riflettere bene sui suoi effetti devastanti. E cioè la destituzione di fatto del Parlamento, la spoliazione del mandato elettorale che il cittadino con il suo voto assegna al parlamentare ed al senatore, la cancellazione della figura del Presidente della Repubblica e della sua funzione di sorveglianza e di coordinamento dei poteri – legislativo esecutivo e giudiziario – dello Stato italiano. Ma soprattutto i senatori devono riflettere sulla incostituzionalità del loro voto. Si ignora che le leggi di revisione della Costituzione sono adottate da ciascuna Camera con due successive deliberazioni ad intervallo non minore di tre mesi, e sono approvate, a maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna Camera, nella seconda votazione (art. 72 c. 4). A meno che, ripetiamo, non si voglia sovvertire tutto. I senatori riflettano su un voto che per il futuro svuoterebbe il Senato di ogni potere e significato. Sempre che l’Alta Corte non annulli tutto, prima di essere poi smentita e sterilizzata da questo governo. Questo disegno di legge viene definito, secondo noi giustamente, una menzogna. Perché la nuova legge elettorale, che sarà commissionata ai suoi futuri redattori, non darà solo un premio di maggioranza alla coalizione collegata al candidato premier che vince, ma un vero e proprio premio di governabilità, indipendentemente dai voti ottenuti dalla coalizione. In sostanza, se sarà così noi, i cittadini, il popolo non conterà più un c…nella determinazione della politica nazionale, e la dialettica parlamentare non contribuirà più alla composizione del programma di governo. A quel punto, il “sovrano” del Paese non sarà più il Popolo, ma il Premier.

 

Ecco il sottile filo che legherebbe gli ultimi eventi. E che potrebbe confermare la vera filosofia del nuovo corso di destra

Tutti questi eventi sembrano legati da un filo. Lo dice anche Beppe Giulietti, già segretario della Federazione della Stampa e dell’Usigrai, il sindacato della Rai. Il filo legherebbe alcuni eventi in apparenza slegati ed occasionali. Ad esempio l’andata della Meloni a Caivano, forse apposta per scontrarsi con de Luca, proprio il giorno in cui si celebra a Brescia il 50esimo della strage fascista. E poi le reazioni forse eccessive delle forze dell’ordine contro le dimostrazioni di piazza di ragazzi su Gaza. E poi ancora l’occupazione sistematica della Rai. E prima, le querele contro Cavalli e Bottura. E poi il no a Saviano nella delegazione italiana alla fiera del libro di Francoforte. Insomma, una serie di fatti che sembrano legati ad una filosofia del dimostrare. Che se ne fregano delle critiche di mezza Europa, che fanno come gli pare, che comandano loro, che sono loro a decidere se i soldi dei cittadini vanno spesi per le armi all’Ucraina e non per la sanità e la salute degli italiani, che sono loro a stabilire dove deve essere smantellata la Costituzione antifascista dei Padri Costituenti. Loro vanno avanti, perché dicono che non hanno paura. Noi invece cominciamo ad averla.