di Alessio Vicidomini
NOCERA. Il lunedì in Albis conserva ancora un sapore antico a Nocera dove non si vedono nocerini salire al vicino Santuario di Montalbino mentre sono assai numerosi quelli di Pagani. Perché?
E’ storia vecchia di quasi mezzo millennio, ormai. Tuttavia ancora ben viva, forse perché è sempre cosa opportuna non andare contro la tradizione.
Si era nel 1595 e a quel tempo Nocera aveva il nome di Nocera de’ Pagani, non perché i suoi abitanti fossero ancora lontani dal Cristianesimo, ma perché abitavano in città i membri della nobile famiglia dei Pagano che, per ostentare il loro benessere e la loro potenza economica, partecipavano in massa alla processione del Corpus Domini reggendo le quattro aste del Pallio, della tenda di seta sotto la quale il vescovo procedeva, reggendo tra le mani ostensorio contenente l’Ostia consacrata. Ogni volta, puntualmente succedevano botte tra le famiglie nobili che contendevano l’ambito privilegio ai Pagano. Lo scontro era anche violento, benché il contesto non fosse quello ideale. La litigiosità tra nobili coinvolgeva anche le altre classi sociali cittadine soprattutto il lunedì in Albis quando c’era la lunga ascesa al Santuario di Santa Maria dei Miracoli sul Montealbino. A parlare dell’antica tradizione, lo storico Antonio Pecoraro (nella foto in basso).
Perché si andava, e si va, al Santuario di Montalbino?
«Perché di lassù la Vergine vigilava sull’intera Valle del Sarno, su quello che era stato il cuore della Confederazione sannitica Meridionale capeggiata da Nuceria. Certo i più non ricordavano più gli antichi fasti di quella Confederazione che nel III sec. a. C. batteva moneta e dettava legge, ma tra la gente aleggiava comunque un ricordo, anche se impreciso. Ma era una memoria che agli inizi del 1500 era stata rinverdita dalle imprese di un nocerino doc, si direbbe oggi. Era Giambattista Castaldo, generale di Carlo V d’Asburgo, che, alla testa delle orde germaniche dei lanzichenecchi, aveva messo Roma a soqquadro e il Papa alla berlina. Anzi aveva fatto anche di peggio, permettendo ai soldati di violentare a viso aperto le monache di clausura e di dare la comunione ai somari che reggevano nei loro basti le masserizie della truppa. Aveva depredato le chiese della Capitale e portato a Nocera la Madonna d’Alba di Raffaello. Era ii 1529, anno del sacco di Roma! Poi, preso dal rimorso, aveva fatto costruire il Santuario della Madonna dei Miracoli e vi aveva messo a capo suo fratello che era monaco olivetano. E poiché il Santuario mariano era presso la sorgente della Matrognana, cara a Giunone che al tempo della Confederazione sannitica vigilava sul confine sud-orientale dell’antica Confederazione, quelli che andavano fin lassù a Pasquetta rinnovavano inconsapevolmente, e senza rendersene più conto, i loro antichi fasti guerrieri per i quali erano stati chiamati a presidiare Roma nell’imminenza della battaglia di Canne!».
Ma questi ricordi che ella rievoca non le sembrano troppo lontani?
«Potrebbe essere cosi. Ma non era invece lontano assai il momento in cui Monsignor Carlo Baldino, il più illustre cittadino che avesse Nocera nel 1595, fu incaricato dalle Università nocerine “di sopra” e “di sotto” di mettere pace tra i nocerini che si accapigliavano per la precedenza nel salire al Santuario e di disciplinare i rapporti socio economici tra le università nocerine soprane, prima fra tutte quella di “Nocera Corpo” e quella di “Pagani” , i cui nomi erano nella denominazione della “Città di Nocera de’ Pagani”. Stabilì Monsignore che, per motivi di ospitalità, prima salissero i “cugini” paganesi e poi i “Nocerini”. Ed è così ancora oggi».