Grandinetti (Asl): crack, vedremo se fare come a Bologna - Le Cronache Ultimora
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Grandinetti (Asl): crack, vedremo se fare come a Bologna

Grandinetti (Asl): crack, vedremo se fare come a Bologna

di Erika Noschese

 

 

Il crack è un tema di stretta attualità in Italia, in particolare dopo la recente polemica tra il Comune di Bologna e il governo centrale. Al centro del dibattito c’è la strategia da adottare contro l’uso di questa sostanza, con il Comune che promuove la distribuzione di pipe sterili nell’ambito di una politica di “riduzione del danno” e il governo che la definisce un’iniziativa “folle”. Ma la questione, come dimostra anche la situazione a Palermo, va ben oltre la sicurezza e l’emergenza crack in sé, toccando temi sociali più profondi. Perché il dibattito si concentra spesso sulla sostanza e non sul contesto che produce la dipendenza? Quali sono le politiche più efficaci per affrontare un fenomeno che non è solo una questione di ordine pubblico, ma un problema sanitario e sociale complesso? Per rispondere a queste domande, abbiamo intervistato la dottoressa Antonietta Grandinetti, direttrice del Dipartimento Dipendenze dell’Asl di Salerno, per capire meglio come funzionano i servizi di assistenza, quali sono i limiti delle politiche attuali e perché, come avvertono gli esperti, dopo il crack potrebbe arrivare qualcos’altro.

A Bologna è polemica circa la scelta di distribuire pipe sterili per il crack.

«A Bologna è scoppiato un caso, ma bisogna dire che lo spirito con cui è stata fatta queta cosa è la riduzione del rischio e del danno. Questo fa parte dei Lea. Se cominciamo a parlare di cosa è accaduto, iniziamo a parlare di un intervento di riduzione del danno che è previsto dai Lea e che è inserito in tutti i protocolli di un servizio per le dipendenze patologiche. Lo scenario in cui ci muoviamo è questo. Anni orsono, sono state distribuite le siringhe, i preservativi… Ancora oggi ci sono camper che si muovono sul territorio per distribuire oggetti o favorire interventi che possono ridurre i rischi legati all’uso di sostanze. La tipologia di intervento non rappresenta nulla di strano o di nuovo rispetto a quanto previsto dai Lea».

Alcuni pensano che così si promuova il consumo di sostanze stupefacenti.

«Non si tratta né di liberalizzare la droga né di normalizzare il consumo, ma ridurre i rischi legati all’abuso, all’uso di sostanze psicoattive. È un approccio sanitario pragmatico che non incentiva l’uso, ma cerca di renderlo meno distruttivo e più governabile. Questo in attesa di una possibilità di uscita dalla condizione di dipendenza. Si tratta di un primo contatto tra i servizi e il consumatore, nella speranza che il consumatore poi arrivi al servizio. È anche un modo per stanare il cosiddetto sommerso, cioè coloro ai quali non si riesce ad arrivare».

Lei approva, quindi.

«È approvato da tutta la comunità scientifica; quindi, al di là di un parere personale che è comunque condiviso, si può ben vedere quanto sia applicato in tutto il mondo con risultati straordinari, grazie ai progetti di scambio di materiali sicuri. Perché si sono ridotte le overdosi? Perché c’è stata una politica, negli anni, nei servizi di prevenzione attiva, che ha sicuramente favorito la loro riduzione. Solo 15-20 anni fa le overdosi che arrivavano ai nostri servizi erano innumerevoli, i nostri pazienti restavano vittime: grazie a tutti gli atteggiamenti di distribuzione applicati, facendo attività di prevenzione importante su questo la situazione è migliorata sensibilmente».

Potrebbe essere un’iniziativa spot?

«Un progetto di riduzione del danno non deve essere frammentario, ma fatto con competenza dagli operatori, in maniera consapevole e con degli obiettivi condivisi. Di certo c’è quanto è stato anche comunicato dalle federazioni scientifiche come Federserd e Sitd: gli interventi di riduzione del danno sono previsti dai Lea e dalle linee guida europee e sono essenziali per tutelare la salute pubblica e dei consumatori. Quanto accaduto a Bologna è stato un intervento cosiddetto “a bassa soglia”».

Eppure c’è chi osteggia l’iniziativa.

«La distribuzione delle pipe sterili per l’assunzione di crack che è stata fatta a Bologna viene intesa, secondo alcuni, come associazione a delinquere o favoreggiamento. Queste affermazioni, invece, sono totalmente annullate dalla comunità scientifica. Tutto questo non è considerato anomalo per chi gestisce i protocolli operativi per la gestione delle sostanze. Non è punitivo né favoreggiante, perché chi consuma crack spesso lo fa in condizioni estreme, in cui ogni gesto è sopravvivenza; quindi, forse è bene che, rispetto ad interventi specifici ribaditi dalla comunità scientifica internazionale, parlino i tecnici senza che un intervento del genere venga inteso come favoreggiamento».

Da noi gli abusi di sostanze corrispondono a quanto registrato a Bologna?

«Quello che accade sui nostri territori è in linea con quanto accade fuori da noi. La dipendenza è sicuramente un fenomeno complesso ed è sicuramente presente una polidipendenza, per cui da una sostanza si passa a un’altra. Chiaro è che le dipendenze da sostanza prevedono una serie di azioni per prevenire alcune conseguenze che possono verificarsi sia per le modalità d’introduzione sia per gli effetti. L’uso del crack è molto frequente, ed è una sostanza molto intrusiva con una forte convulsione. L’uso di siringhe e lo scambio di esse, rispetto allo screening effettuato dai servizi, non è più una cosa molto frequente sul nostro territorio. Quella campagna ha avuto i suoi effetti. Chiaramente è un discorso da ragionare, come può essere l’uso e l’intervento su strada da parte nostra, come già sperimentato in passato, che ci ha consentito l’aggancio con le persone. Ciò significa anche arrivare a quella persona, interfacciarsi. Il servizio va fuori e stimola il sommerso. Magari si può ragionare, rispetto ai dati presentati dall’esperienza di Bologna, per capire se ci può essere un discorso da estendere anche ad altri eventi di riduzione del danno. Negli anni passati, quando era importante prevenire l’uso del Narcan, dei lacci emostatici e lo scambio di siringhe, gli interventi sono stati fatti in questo senso e i risultati sono stati eccellenti sui nostri territori. Non solo a Salerno, ma anche in Campania e ovunque si siano effettuati questi interventi. Aspettiamo, quindi, e valutiamo anche noi se sia il caso di effettuare interventi su strada. Come e cosa distribuire lo valuteremo con la comunità scientifica, in base ai dati che saranno ulteriormente presentati».

Si farà anche a Salerno, quindi?

«È un’azione corretta, che ha l’approvazione della comunità scientifica. Bisogna valutare se farla e come».

Gli studi su Palermo spostano l’attenzione anche sulle evoluzioni delle dipendenze verso il fentanyl.

«Sui nostri territori non ci sembra una situazione da attenzionare particolarmente. Non abbiamo rilevato situazioni importanti di uso e abuso di fentanyl. Chiaramente un’azione di prevenzione di questo genere non si fa con un servizio di dipendenze o l’Asl, ma è di concerto con vari attori. Per un intervento di prevenzione e riduzione del danno sul territorio, banalmente, serve il camper che necessita di un punto in cui si ferma. Prevede una rete di supporto rispetto a varie agenzie, come il Comune, i servizi sociali, in alcuni casi le associazioni di categoria. Chiaramente interventi di questo genere richiedono la collaborazione di vari attori, così come l’intervento sulle dipendenze può essere di prevenzione a più livelli e di promozione a più livelli. Questo lo do per scontato. Sui nostri territori c’è una buona collaborazione, ci sono vari protocolli di promozione di stili di vita sani e di prevenzione, con procura, prefettura, tribunale dei minori. Esiste già una rete di prevenzione del disagio, che ci facilita molto l’organizzazione e l’esecuzione degli interventi».