A Gragnano, la pasta non è solo un alimento: è identità, radice, memoria viva. Tra i vicoli attraversati dal sole e dal vento del Golfo di Napoli, prende forma una delle eccellenze più luminose del Made in Italy. È qui che nasce La Fabbrica della Pasta di Gragnano, il pastificio della famiglia Moccia, che dal 2006 custodisce e innova una tradizione antica con passione e consapevolezza.
Antonino Moccia racconta con lo sguardo orgoglioso di chi è cresciuto tra i sacchi di semola e il profumo del grano:
”In ogni negozio, come c’è un prosciutto di Parma, ci dovrebbe essere anche un pezzo di Gragnano, che sia il nostro marchio o quello di un altro, poco importa l’importante è che sia un prodotto vero, profumato, saporito, in grado di raccontare una terra e distinguersi con dignità.”
La pasta di Gragnano IGP non è solo buona è un rito. Si nutre di acqua pura, di aria buona, di tempo e pazienza. È figlia di un luogo unico, progettato nell’Ottocento proprio per agevolare l’essiccazione naturale della pasta strade tracciate in funzione del sole e del vento, come in un abbraccio tra l’uomo e la natura. A Gragnano ogni pietra racconta una storia, e ogni strada ha un destino scritto dal sole. Via Roma, la più importante arteria cittadina, non fu tracciata per caso. A metà Ottocento, si disegnò in modo che il sole potesse colpire direttamente le file di pasta stese ad asciugare tra un palazzo e l’altro, e il vento, scendendo giù dalla Valle dei Mulini, facesse il resto, portando via l’umidità. Ogni portone era un laboratorio, ogni famiglia un piccolo pastificio. La città intera era un essiccatoio a cielo aperto. E ancora oggi, quando c’è il vento giusto, sembra di tornare indietro nel tempo. Non c’è pasta, però, senza acqua. A Gragnano ci sono ancora quindici sorgenti attive, che scorrono dalle colline fino a valle, alimentando la produzione come un tempo. Fin dal Duecento l’acqua veniva canalizzata per far girare i mulini, inizialmente per il grano tenero, poi, dal Settecento in poi, per quello duro. È così che Gragnano è diventata capitale della pasta per una combinazione perfetta di acqua, sole, vento e mani sapienti. Nel 1845, questa vocazione conquistò persino re Ferdinando II di Borbone. Si racconta che, in visita ufficiale, fu talmente colpito dalla qualità della pasta da volerla a corte. Ma restò anche perplesso nel vedere i pastai impastare con i piedi nudi sulla pietra lavica. Ordinò allora la creazione di una macchina un “uomo di bronzo” con piedi in legno, capace di impastare senza contatto umano. Fu una rivoluzione. Da quel gesto simbolico nacque la prima forma rudimentale di meccanizzazione della pasta.
E siccome al re piaceva gustarla senza imbarazzo, si fece costruire anche una forchetta speciale non più a tre rebbi, come si usava allora, ma a quattro, più comoda per arrotolare gli spaghetti. Un piccolo atto di gola che, con il tempo, sarebbe diventato l’utensile più comune sulle nostre tavole.
Col passare degli anni, l’arte della pasta si è trasformata. I gesti antichi si sono fatti metallo, vapore, elettricità. “Nel nostro museo aziendale”, racconta Antonino, «custodiamo i macchinari che raccontano questa evoluzione dalla gramola alle prime impastatrici, fino a una macchina degli anni ’30 che unisce impasto, gramolatura e trafila. E poi c’è una macchina degli anni ’50 che apparteneva al vecchio pastificio di famiglia. Funziona ancora. E ogni volta che la accendiamo, sembra di riascoltare una voce del passato. Ci sono anche grandi ventole, che ricordano quando la pasta si asciugava lentamente, a temperatura ambiente, in stanze ventilate. L’occhio e l’intuito del pastaio erano tutto saper cogliere il momento esatto, dosare l’aria, controllare l’umidità.
Oggi, il Pastificio La Fabbrica della Pasta di Gragnano unisce questa eredità a un’idea moderna di qualità. Tracciabilità totale ogni pacco ha un QR code che racconta la storia del grano, chi lo ha coltivato, dove è stato molito, come è stato trasformato. “Per noi è un atto di trasparenza, ma anche un modo per educare chi mangia, spiega il pastaio Moccia. “La pasta è cultura, è identità, è rispetto. E poi c’è la bellezza. Il packaging, curato come un gioiello, è il primo messaggio che arriva al consumatore. Abbiamo voluto che la pasta raccontasse Gragnano anche da chiusa la sua eleganza, la sua luce, la sua memoria”.
La storia del pastificio Moccia è una vicenda di famiglia e di resistenza, nasce agli inizi del Novecento con uno zio, passa nelle mani del padre nel 1976, e viene rifondata dai fratelli Antonino e Mario nel 2006 dopo il terremoto dell’Irpinia e la chiusura forzata. Oggi è un’azienda solida, riconosciuta a livello internazionale, con il certificato IGP numero 1e una produzione che unisce classicità e invenzione, rivoluzionando il mondo della pasta con formati fuori dal comune: la Caccavella, ad esempio, è la pasta più grande del mondo. Poi ci sono i fusilli intrecciati a mano, il Vesuvio, i paccheri rigati e tanti altri che raccontano la nostra Campania.
I clienti? Dai ristoranti stellati alle gastronomie di nicchia, dalle pescherie gourmet ai supermercati più attenti. Il mercato evolve, così come le abitudini di consumo. ”Anche la grande distribuzione inizia a cercare prodotti di qualità, la richiesta è cambiata meno quantità, più valore.”dice Moccia.
Ma qual è il segreto della pasta di Gragnano ?
Antonino risponde candidamento : ”L’amore e la coscienza la nostra semola arriva da contadini fidati tra Puglia e Basilicata. Lavoriamo senza diserbanti, senza scorciatoie. Il grano ha il profumo vero della terra e la tenacità che serve in cottura. È una pasta fatta con il cuore e con la testa.”
Nel pastificio oggi lavorano circa 50 persone, molte delle quali donne impegnate nel confezionamento manuale delle eleganti scatole regalo. Ogni dettaglio è curato con pazienza e rispetto., perché Made in Italy non è solo una scritta sull’etichetta, è un impegno etico e sociale. E alla domanda finale – quale formato consiglierebbe per una genovese di tonno? – Antonino sorride: ”Un bel fusillo della regina, intrecciato, elegante, perfetto per accompagnare quel sugo intenso e profumato. Anche la pasta deve fare la sua parte, e raccontare la storia del piatto.”
A Gragnano, in effetti, anche la pasta parla. Basta ascoltarla mentre asciuga, sotto il sole, accarezzata dal vento.






