Giustizia. Nordio finalmente si è imposto per la riforma - Le Cronache Ultimora
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Giustizia. Nordio finalmente si è imposto per la riforma

Giustizia. Nordio finalmente si è imposto per la riforma
di Giuseppe Gargani
 La distinzione tra il ruolo del pubblico ministero e quello del giudice (se si evitasse il termine “carriere” che inopportunamente viene usata anche nella proposta costituzionale, il cittadino capirebbe di più), è stata stabilita con legge costituzionale che ha avuto la prima approvazione alla Camera dei Deputati.
Come è noto a tutti sono necessarie altre tre approvazioni da parte del Parlamento e possiamo sperare che le norme possano essere migliorate e perfezionate.
Naturalmente diamo atto al Ministro Nordio che, dopo aver incentivato un panpenalismo inadeguato e pericoloso per una società complessa come quella italiana, finalmente si è imposto per una riforma che modifica la struttura del processo, quindi incide sulla giustizia, sul ruolo che debbono avere i magistrati in una democrazia avanzata.
 Il dibattito su questo argomento dura da anni ma in particolare dal 1989 quando il Parlamento per impulso di un grande giurista come Giuliano Vassalli ha dato vita al nuovo processo penale qualificato come processo “accusatorio” in sostituzione del processo “inquisitorio”.
L’unità della giurisdizione, stabilita in Costituzione, è quindi superata e non più attuale e la enfatizzazione della fase delle indagini ha oscurato il processo e quindi ha determinato anomalie molto gravi per la mancata trasparenza.
Il nuovo processo presupponeva una nuova “cultura” da acquisire da parte degli operatori della giustizia, e una modifica costituzionale.
Vassalli e il sottoscritto, che all’epoca era presidente della Commissione Giustizia e ha collaborato con un eminente giurista come Pisapia, avevano ripetutamente avvertito che senza una distinzione costituzionale dei ruoli diversi (p.m. e giudici) la riforma non avrebbe avuto successo. E così è stato.
La modifica alla Costituzione avviene dopo 35 anni ancora in maniera incerta e approssimativa, ma la “nuova cultura” anche per colpa della Corte Costituzionale e delle iniziative dei magistrati che hanno “piegato” le norme a interpretazioni diverse da quelle volute dal legislatore.
Interroghiamoci sulle attuali prospettive. In verità tutta la discussione anche in sede parlamentare così come sulla stampa giustifica la riforma come una contingenza, come un espediente per evitare che il giudice, essendo collega del p.m., non può essere imparziale e al di sopra delle parti.
Naturalmente accade nella prassi anche questo, ma la riforma ha e deve avere un significato strutturale di concezione del processo che attualmente dà grande importanza alla fase preparatoria dell’indagine e non al confronto tra le “parti” in una pubblica contesa alla presenza di un giudice terzo.
Come può non essere accettato da parte della magistratura una spiegazione istituzionale e organizzativa al tempo stesso, è un mistero perché nessuno più dei magistrati conosce le dinamiche del processo penale e della crisi che esso attraversa.
Né vale dire che le norme proposte dal Ministro Cantarbia che prevedevano il passaggio per una sola volta dall’ufficio del p.m. all’ufficio del giudice poteva bastare a risolvere il problema.
Si tratta di una narrazione ingannevole che non fa onore a chi la propaga.
La riforma è sistematica, riguarda la struttura del processo e serve a  qualificare il p.m. come parte non privilegiata che deve restare indipendente ma non privilegiata.
E il “privilegio” (che non si spiega in un processo di “parti”) ha avuto un’influenza molto negativa sull’opinione pubblica perché tutte le notizie che la stampa trasmette sull’esercizio dell’azione penale qualifica il P.M.  come giudice quindi come uno che giudica, non come uno che accusa. Anche il noto P. M. Di Pietro veniva chiamato giudice!
Nel contraddittorio tra chi accusa e chi difende,  è necessario un arbitro  davvero imparziale. È questo che ha sempre sostenuto il Ministro Vassalli parlando di “giusto processo”, Invece, anche e causa delle modifiche alla procedura penale che ci sono state negli ultimi trent’anni, il processo attuale è ibrido e avventuroso. Non c’è un vero dibattimento tra parti uguali, ma una prevalenza del pubblico ministero, che viene messo sullo stesso piano del giudice.
Il pubblico ministero è solo una parte, come la difesa, e non può avere le guarentigie di un giudice.
Orbene viene in evidenza, in questa circostanza come sempre, che la magistratura difende il suo potere anomalo, le sue conquiste anomale, la sua prevalenza sulla politica che crea uno squilibrio dannoso.
Se l’Associazione nazionale, che rappresenta la magistratura, accettasse il dialogo e riconoscesse la necessità di una riforma che viene alla luce dopo tanti anni potrebbe forse influire per trovare punti di equilibrio. La proposta approvata stabilisce il sorteggio dei magistrati e niente meno dei laici per la formazione del C.S.M.,  ed è  una scelta aberrante che certamente e oggettivamente appare ed è una punizione, perché un organo costituzionale non può essere dequalificato perché regolato dal lancio di una monetina!
I magistrati attraverso il voto determinano la loro rappresentanza che non si può ottenere a quel livello senza la partecipazione e senza il protagonismo individuale. Non vale ricordare l’Agorà perché è passato da allora qualche tempo e tante rivoluzioni hanno determinato repubbliche rappresentative e hanno fatto affermare il principio che per configurare una democrazia in ogni istituto è necessaria la volontà di chi delega, di chi partecipa. Senza partecipazione dunque non c’è rappresentanza.
E la rappresentazione non può avvenire per caso, per una fortuna magari non richiesta e non accettata. Per i laici poi si tratta una vera e propria umiliazione del Parlamento. Questo è il danno grave sul piano istituzionale, ma l’inutilità, dobbiamo dirlo, è che da questo meccanismo le correnti certamente non vengono scalfitte ma incentivate ad un livello certamente più basso e quindi più pernicioso.
Il 95% dei magistrati sono iscritti a una corrente. Le correnti, di per sé, non sono un male, proprio come i partiti, a patto che abbiano un’ideologia e non si trasformino in caste e questo dipende dai soggetti interessati.
L’augurio è che questo sgorbio istituzionale venga eliminato per far vivere una riforma sistematica che dia un volto moderno e democratico alla magistratura magari equilibrando il rapporto in termini diversi tra i componenti togati e i laici nel Consiglio Superiore della Magistratura a favore di questi ultimi, (come previsto da tante proposte che arricchiscono l’archivio parlamentare), che eviterebbe il corporativismo che questo si (e non le correnti) ha tolto prestigio e ruolo istituzionale.
Dunque un atteggiamento diverso da parte della magistratura potrebbe contribuire a scrivere norme più equilibrate e mettere in discussione per esempio il doppio C.S.M. forse non utile perché irrigidisce e polarizza lo schema istituzionale. È interesse della magistratura dialogare perché il C.S.M. non diventi organo amministrativo ma resti un organo di rilevanza costituzionale, aperto ad un rapporto con le istituzioni, rappresentativo ma non garante della indipendenza dei magistrati che è già stabilita nella Costituzione.