Trionfa “La forza del destino” che ha inaugurato la stagione lirica del massimo salernitano diretta da Daniel Oren e affidata alla regia di Pier Francesco Maestrini. Sugli scudi il Don Carlo di Simone Piazzola, la Donna Leonora di Maria Pia Piscitelli e il Fra’ Melitone di Gezim Miskeda
Di Olga Chieffi
Un occhio che racchiude la morte, un ingranaggio di orologio che gira inesorabile, con sopra incise le parole appartenenti al più celebre dei Carmina Burana, Fortune rota volvitur descendo minoratus alter in altum tollitur nimis exaltatus sulle note di una delle pagine più intense dell’intera letteratura musicale, così si è aperto il sipario sulla nuova stagione del teatro Verdi di Salerno, che ha inteso inaugurare con un titolo di rara rappresentazione, “La forza del destino”. L’allestimento non è originale ma è risultato funzionale al nostro piccolo palcoscenico, proiezioni e scene hanno ricostruito architetture gotiche, spazi sacri conventuali che attraverso varie composizioni di pannelli scorrevoli hanno, poi, creato ambienti signorili, piazze aperte, ruderi di romantica suggestione che, soprattutto grazie alle proiezioni sul fondale, hanno disegnato le scene per il campo di battaglia del III atto o la caverna di Eleonora per il finale. Pier Francesco Maestrini ha usato perfettamente la luce e pochi e semplici movimenti su di un palcoscenico angusto che, effettivamente non lascia molte soluzioni. Daniel Oren ha condotto l’ orchestra filarmonica salernitana, sapientemente rinnovata (anche se il cambio del primo clarinetto, dal suono fascinoso nel registro grave, ma privo del necessario velluto nel medio alto, non ha certo cambiato le sorti della scena e romanza di Don Alvaro) con la sua tradizionale bruciante urgenza, accensione teatrale, coniugate al rispetto dei segni espressivi. Giuseppe Verdi, parlando proprio della sua opera, così si esprimeva: “…nella Forza del destino non è necessario saper fare dei solfeggi e delle cadenze, ma bisogna aver dell’anima e capire la parola ed esprimerla”. Il cast ha avuto ben tre punte di diamante, a cominciare dal canto di Maria Pia Piscitelli, che non ha certo fatto rimpiangere la scaligera Anna Pirozzi, la quale si è appoggiata ad un’organizzazione vocale praticamente intatta che le ha consentito di plasmare una Leonora di profonda intensità, anche se ha sfilacciato qualche filato finale. La grande aria del IV atto “Pace mio Dio” rimane il vero apice della serata laddove ha inserito, in una esecuzione trascinante da verdiana doc, un purissimo, trasparente Si bemolle in pianissimo alle parole “Invan la pace” per poi chiudere in un crescendo in forte alla invettiva Maledizione. Di grande rilievo è risultato anche il recitativo di entrata “Io non amarlo!”, l’aria “Me pellegrina ed orfana”, e l’ovvio grande appuntamento “mistico” del II atto con la preghiera “La vergine degli angeli”. Infine nel terzetto finale “Lieta poss’io precederti” ha raggiunto, un vertice assoluto per l’accento allo stesso tempo commosso e disperato, pur in una mantenuta fierezza. Quanto alla accoppiata “grave” Gezim Miskeda e Simon Lim, si tratta di due voci da basso-bariton tanto diverse, quanto di incredibile impatto e così alla impeccabile perizia stilistica del primo, capace di valorizzare al massimo anche le frasi meno ispirate, di un ruolo troppo spesso tramutato in burla, risponde il secondo che ha offerto al finale terzetto quella giusta nota di ieratica solennità, sino all’ultimo accordo che si raccoglie soffuso prima della chiusura del sipario. Lo smalto, la brunitura, che pur mostra le crepe dei velluti e gli assilli di un amore non ancora conscio dello stadio di nevrosi, ma certo ben orientato a coglierne, ab initio i toni d’incertezza, è stato ombrato dalla performance del tenore sostituto, Walter Fraccaro, in grado di esibire un mezzo vocale di una certa solidità, ma dalla tecnica sgraziata e approssimativa, mentre il giovane baritono veronese Simone Piazzola, un ottimo Don Carlo di Vargas, ha entusiasmato il pubblico col suo gusto nel fraseggio, continuità d’emissione e il rispetto massimo della “parola scenica”, rivelando una grande aderenza al personaggio, che ha reso purtroppo impari i duetti. Regina della zona più spregiudicata dell’opera ovvero nel bric-à-brac di “Lorchè pifferi e tamburi….Venite all’indovina” e del Rataplan è stata la Preziosilla del mezzosoprano russo Ekaterina Semenchuk, sostenuta da un coro in buona forma, preparato da Tiziana Carlini, ma tradita nel finale dalle trombe, la quale è apparsa tecnicamente poco rifinita come la maggior parte delle cantanti dell’Est delle ultime generazioni, dagli acuti eseguiti in modo non raffinatissimo, ma con voce da buoni numeri e convincente presenza scenica. Gli onomatopeismi da cortile di Mastro Trabuco, ben interpretato da Francesco Pittari, in coppia con le zingarate di Preziosilla e la tarantella coreografata da Pina Testa, la quale ha, forse, alquanto esagerato affollando il poco spazio riservatole dal regista, con ben quattro coppie di danzatori, che hanno, comunque, gradevolmente animato la prima scena del II atto e il finale del terzo con la vivacissima danza, hanno esorcizzato al meglio la marea del conflitto psicologico. A completamento del cast il dignitoso Marchese di Calatrava di Nicolas Testè, e le buone prove di Francesca Franci (Curra) e Carlo Striuli (un Alcade e un chirurgo). Applausi scroscianti per tutti e pericoloso lancio di coloratissime gerbere dalla barcaccia.