Gargani: Tangentopoli, una commissione d'inchiesta - Le Cronache Attualità
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Gargani: Tangentopoli, una commissione d’inchiesta

Gargani: Tangentopoli,  una commissione d’inchiesta

Antonio Manzo

È l’autunno del 1992. Il pool di magistrati di Milano già impegnati sul fronte di Mani Pulite– Francesco Saverio Borrelli, Gherardo Colombo e Piercamillo Davigo – convoca segretamente il presidente della commissione giustizia della Camera Giuseppe Gargani. “Mi dissero subito che il mio nome non era nei dossier, ma il messaggio era chiaro: Mani Pulite non si sarebbe fermata”, racconta Giuseppe Gargani nel libro-intervista con Daniele Morgera che domani sarà presentato all’istituto Luigi Sturzo.

“I giudici volevano capire fino a che punto la politica fosse in grado di reagire. Non lo era.” L’intervista oggi si chiude con un appello: “Serve una commissione d’inchiesta per rileggere con lucidità quella stagione. Gli errori commessi allora pesano ancora oggi sulla nostra democrazia.” Il libro-intervista sarà presentato da Giuseppe Santalucia, già  presidente nazionale dell’Associazione Nazionale Magistrati, l’ex presidente della Camera Luciano Violante, Michele Vietti, già  vice presidente Csm, Andrea Spiri, storico. Il dibattito moderato da Antonio Pascotto sarà concluso dal presidente associazione ex parlamentari Giuseppe Gargani.

L’ex presidente della Commissione Giustizia svela i retroscena di un incontro segreto con il pool di Milano e accende il dibattito su Tangentopoli, ma il libro-intervista  va molto al di là del ricordo del suo incontro con il pool di mani pulite. L’intervista scandaglia il suo percorso politico ed umano e con Daniele Morgera, giornalista Rai di origini irpine, racconta molto di più.

Le mani sulla storia. Come i magistrati hanno provato a (ri)fare l’Italia, prefazione di Andrea Covotta, è il libro-intervista.

Un incontro riservato con i giudici di Mani Pulite, una magistratura che da “Ordine” diventa “Potere” e una politica che si inginocchia senza reagire, anzi con il malcelato compiacimento del lavoro iniziale dei Pm milanesi convinti che tutto fosse stato solo mirato a Craxi e al Partito Socialista. Erano questi sentimenti parapolitici che si avvertivano nel Transatlantico di Montecitorio nei primi mesi di Mani pulite, così come ricorderà Gargani dell’incontro che all’indomani delle sua trasferta milanese volle con i maggiori leader della Democrazia Cristiana. Il senso politico ed istituzionale indusse Gargani ad avvertire del ciclone di Tangentopoli che, con l’acqua dell’illecito finanziamento ai partiti, portava alla imputazione generalizzata di corruzione. Gargani riferì il senso del colloquio con Ciriaco De Mita scontando l’amicale insofferenza per le analisi di Peppino, ricorda l’evanescente silenzio di Arnaldo Forlani e registrò la sola attenta vigilanza politica di Antonio Gava.

Il monito sulla crisi politica italiana non ascoltato  è solo uno dei temi cruciali affrontati nel libro. Gargani racconta il suo arrivo al palazzo di Giustizia di Milano. “Entrai da un ingresso secondario per non farmi notare…”. È l’autunno del 1992. Il pool di Milano  “Mi dissero subito che il mio nome non era nei dossier, ma il messaggio era chiaro: Mani Pulite non si sarebbe fermata”, racconta. E lì un punto di svolta irreversibile: “Negli anni ‘70 Magistratura Democratica teorizzava il ruolo del giudice come ‘oppositore’ della politica. Quel concetto ha trovato in Tangentopoli la sua applicazione più radicale.”

La sinistra cavalcò Mani Pulite come la “via giudiziaria al potere”. Gargani rivela anche il retroscena di una strategia politica ben orchestrata: “Massimo D’Alema, nel 1993, disse a Giovanni Pellegrino (allora presidente della comissione autorizzazioni a procedere): ‘Le rivoluzioni si fanno con le ghigliottine e i plotoni di esecuzione. Ma possiamo stare tranquilli: Mani Pulite non colpirà noi’.”

E oggi? “Non è il 1994 con Berlusconi a segnare il passaggio alla Seconda Repubblica – afferma Gargani – ma il 2022, con l’ascesa di Giorgia Meloni e il superamento definitivo del paradigma antifascista su cui si fondava la democrazia italiana.”

 

La solitudine di Gargani

 

Gargani ripercorre anche la dissoluzione della Democrazia Cristiana con la sofferenza patita per non essere stato ascoltato dai vertici di quel che fu il Partito Popolare italiano, da lui fondato, e poi guidato da Gerardo Bianco, Franco Marini e Pierluigi Castagnetti. Ad oggi, nessun ex democristiano, ha chiesto scusa a Peppino Gargani per la sua adesione a Forza Italia spiegata nel libro al di là della insufficiente e ridicola valutazione di un trasformismo d’annata per  salvare un posto al Parlamento Europeo, come tentarono di denigralo gli oppositori dell’epoca. Gargani ha avuto ragione, bisogna finalmente riconoscerglielo, sia pure con colpevole ritardo morale. Anche da parte di Popolari che in quei giorni furono abbagliati dall’Ulivo e dalle magnifiche sorti progressive e simil-rivoluzionarie della sinistra. Gargani fu lasciato solo con le sue analisi e fu inascoltato da Bianco, solo a tratti compreso da Marini, infine beffeggiato da Castagnetti che a Rimini eletto segretario nazionale del Ppi decretò la fine della Dc già coltivata da Martinazzoli. Castagnetti vinse il congresso del Ppi contro il più lucido democristiano di quegli anni Ortensio Zecchino anche con il consenso di Ciriaco De Mita.

 

La mafia e la Dc

 

Nel libro-intervista di Daniele Morgera, Giuseppe Gargani ricostruisce le dinamiche che hanno intrecciato Mani Pulite e le inchieste sulla mafia, evidenziando come le procure di Milano e Palermo abbiano seguito percorsi paralleli nel ridisegnare il quadro politico italiano. Secondo Gargani, l’inchiesta su Tangentopoli contribuì a creare il contesto per il processo a Giulio Andreotti e alle indagini su Calogero Mannino.

 

Il sacrificio politico di Lillo Mannino

 

Un passaggio chiave riguarda un incontro avvenuto nell’estate del 1992 tra Gargani, Mannino e Luciano Violante, in cui quest’ultimo sondò la possibilità di una frattura interna alla Democrazia Cristiana, proponendo di isolare la corrente andreottiana per favorire un passaggio di potere verso il PDS. Gargani e Mannino rifiutarono tale manovra, che a loro avviso mirava a spaccare la DC dall’interno. Poi Mannino fu ingiustamente coinvolto e assolto dall’inchiesta trattativa Stato mafia, l’ultimo sacrificio offerto dalla Dc al predominio giustizialista.

 

Falcone e De Mita

 

Il libro affronta anche il caso Salvo Lima, figura centrale della DC siciliana, il cui omicidio nel 1992 viene ricostruito nel contesto delle tensioni tra politica e magistratura. Gargani riferisce di un incontro tra Giovanni Falcone e Ciriaco De Mita, in cui il magistrato avrebbe affermato che, sulla base delle sue indagini, Lima non poteva essere considerato mafioso. Tuttavia, il suo nome venne successivamente utilizzato nelle ricostruzioni giudiziarie per tracciare un legame tra DC e criminalità organizzata. Ed ora potrebbe essere la volta della costituzione di una commissione parlamentare d’inchiesta su Tangentopoli come preludio di una possibile e indispensabile pace tra giudici italiani e la politica. Francesco Cossiga sarebbe stato d’accordo.