Gambardella: La Campania prima regione per start up under 30 - Le Cronache
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Gambardella: La Campania prima regione per start up under 30

Gambardella: La Campania prima regione per start up under 30

di Erika Noschese

“E’ un momento difficile per tante aziende e tanti comparti. Il rincaro delle materie prime, il costo alle stelle di gas ed energia elettrica, i paventati venti di guerra in Ucraina, stanno generando una tempesta perfetta in cui le aziende navigano a fatica. E’ urgente affrontare la risoluzione di queste problematiche, altrimenti la conta di chi non ce l ha fatta sarà inevitabile”. Parla così Marco Gambardella, presidente del Gruppo Giovani Imprenditori di Confindustria Salerno che, dopo due anni di pandemia, analizza tutte le difficoltà che vivono oggi gli imprenditori, conseguenza diretta dell’emergenza epidemiologica, evidenziando però che – nonostante le criticità – la Campania è, oggi, la prima regione d’Italia per la nascita di startup fondate da under30. Il presidente Gambardella ha poi puntato l’attenzione anche sui beni che necessitano di interventi di manutenzione, a partire dall’Acquedotto Medievale: “Siamo pronti a fare sistema, aggiungendo il nostro contributo di risorse e competenze. Questa vicenda può diventare un esempio virtuoso di collaborazione tra pubblico, privato, associazionismo e privato sociale che per la nostra comunità diventerebbe un prezioso patrimonio identitario ed operativo”. Presidente, con la pandemia, come è cambiato il mondo dell’imprenditoria, soprattutto per il settore giovanile? Come sono cambiate le aziende in due anni di pandemia? “Il Covid ci ha cambiato come persone e ha cambiato anche la nostra visione del lavoro mettendo in crisi quell’organizzazione basata su luoghi di lavoro, abitudini e orari che ora appaiono a dir poco obsoleti. Penso che, negli ultimi due anni, in molte aziende sia cambiato il rapporto tra “capo” e “dipendente” e si sia passati da un modello di leadership basato sul controllo ad un paradigma impostato sull’autonomia, sulla fiducia e sul lavoro per obiettivi. É proprio in questa fase di rottura dei modelli tradizionali che i giovani imprenditori possono fare la differenza. Grazie alla nostra preparazione e alla nostra freschezza intellettuale, abbiamo il dovere di contribuire alla costruzione di un nuovo modello di vita e di lavoro, quello dell’epoca post-Covid: un sistema più inclusivo, più sostenibile, più meritocratico e più attento alla valorizzazione del capitale umano”. La Campania è terza, in Italia, per la nascita delle Start Up. Qual è, secondo lei, il successo per una start up di successo? “Ai dati che Lei ha citato aggiungerei che, da ben cinque anni, la Campania è la prima regione d’Italia per la nascita di startup fondate da under30. Queste performance smentiscono molte narrazioni che spesso vengono fatte riguardo i ragazzi del Sud Italia e dimostrano che nella nostra regione i giovani hanno ancora voglia di fare impresa. In uno scenario così dinamico, il segreto per il successo è fare rete: è fondamentale che giovani imprenditori e startuppers si conoscano, condividano informazioni ed esperienze, mettendo insieme talenti e competenze. Non creiamo barriere, lavoriamo ad un sistema aperto dove chi vuole contribuire lo possa fare con libertà e spirito di iniziativa. Come Gruppo Giovani Imprenditori di Confindustria Salerno, uno dei nostri obiettivi fondamentale è proprio creare occasioni di incontro e di confronto tra giovani che hanno voglia di mettersi in gioco: non a caso, il claim che accompagna tutte le nostre attività è #unitipercrescere”. Giovani imprenditori, quanti – in questi due anni di pandemia – sono a rischio fallimenti? “E’ un momento difficile per tante aziende e tanti comparti. Il rincaro delle materie prime, il costo alle stelle di gas ed energia elettrica, i paventati venti di guerra in Ucraina, stanno generando una tempesta perfetta in cui le aziende navigano a fatica. E’ urgente affrontare la risoluzione di queste problematiche, altrimenti la conta di chi non ce l ha fatta sarà inevitabile. Personalmente, per età e per carattere, sono incline all’ottimismo: non posso pensare ad un Paese che non fa nulla per sostenere le proprie imprese, che creano lavoro, sviluppo e cultura. La pandemia ci ha insegnato che nella difficoltà siamo bravi a riorganizzarci, siamo resistenti e resilienti, non si può abbandonare un percorso di ripresa all’ultimo miglio, ho fiducia nel Governo e nel Paese che ciò non accadrà”. Oggi si parla di digitalizzazione ma poco e nulla è stato fatto in questo senso… “In realtà, credo che negli ultimi due anni siano stati fatti importanti passi avanti. La pandemia da Covid-19 ha dato un incredibile impulso alla digitalizzazione delle aziende, abbiamo accelerato processi e investimenti. Il prossimo step da fare è lavorare per diffondere un’autentica cultura dell’innovazione, ossia un modo di fare impresa più, aperto al cambiamento e capace di adattarsi ai cambiamenti del mercato. Per fare questo, dobbiamo partire da un assunto fondamentale: la digitalizzazione non è un obiettivo ma uno strumento per la crescita innovativa delle aziende, lo sviluppo del mondo delle imprese e il miglioramento della qualità della vita delle persone”. Lei di recente ha chiesto il catalogo dei beni storici di tutelare. Tra questi spicca sicuramente l’Acquedotto Medievale. Come Giovani Imprenditori cosa si può fare per salvare uno dei simboli della nostra città? “Il restauro dell’Acquedotto Medievale ha generato energie pubbliche e private, interesse ed entusiasmo. Siamo pronti a fare sistema, aggiungendo il nostro contributo di risorse e competenze. Questa vicenda può diventare un esempio virtuoso di collaborazione tra pubblico, privato, associazionismo e privato sociale che per la nostra comunità diventerebbe un prezioso patrimonio identitario ed operativo”. Ci sono altri beni che necessitano di interventi. Pensa di poter fare qualcosa? “Nel campo della salvaguardia e del recupero dei beni culturali penso a due modalità diverse e complementari da parte dei Giovani Imprenditori ma più in generale del sistema delle imprese. La prima modalità è quella tradizionale che possiamo definire di “mecenatismo culturale” con l’individuazione di beni culturali di alta valenza identitaria e comunitaria da salvaguardare e restaurare in sinergia con le istituzioni e la società civile. La seconda modalità si sostanzia nella definizione ed attuazione di modelli moderni e competitivi che possano consentire una gestione imprenditoriale adeguata e per quanto possibile economicamente autonoma del bene. Conosciamo tutti le attuali difficoltà degli enti locali e degli enti pubblici in generale nel sostenere gli oneri della manutenzione e gestione dei beni restaurati. Il sistema delle imprese potrebbe contribuire ad una svolta con benefici risvolti in termini economici ed occupazionali”.