di Andrea Bignardi
Esattamente quarant’anni fa, agli inizi di agosto del 1979, Bruno Ravera, cardiologo e per presidente dell’ordine dei Medici di Salerno per oltre 35 anni, concludeva la sua esperienza alla guida della città di Salerno, iniziata poco più di un anno prima. Il porto commerciale nell’accezione recente del termine era da poco divenuto operativo, e la città iniziava a cambiare radicalmente il suo rapporto con il mare.
Quale fu l’iter che la condusse a ricoprire lo scranno più alto di Palazzo di Città in quei difficili anni?
«L’onorevole Moro, pochi mesi prima del rapimento da parte delle Br, tenne un congresso a Benevento in cui si soffermò sulla necessità – a livello nazionale – di coinvolgere il partito comunista. L’onorevole Lettieri, che all’ epoca era uno dei principali esponenti della corrente morotea, riferì con rammarico a Moro che non avrei voluto fare il sindaco di Salerno pur essendo uno dei papabili. Moro mi disse, mostrando molta più autorevolezza rispetto alla tipica immagine mite che gli viene attribuita: Lei lo deve fare. E così si posero le basi per la mia esperienza alla guida della città, durante la quale fui costretto a mettere da parte gli impegni professionali per via del notevole impegno richiesto dall’esercizio della carica di sindaco».
Com’è cambiato rispetto agli anni ’70 il rapporto tra Salerno ed il mare?
«Non credo sia nemmeno proponibile un confronto: nel biennio 78-79 la finanza comunale viveva una situazione disastrosa. Avevamo perfino difficoltà a pagare gli stipendi dei dipendenti: nel corso degli anni precedenti si era cumulato un debito non indifferente che poi una serie di intevrenti legislativi hanno accollato allo Stato. Il risanamento fu però parziale. Il porto di Salerno era allo stato embrionale, il volume di affari era ridotto e non era stato nemmeno completato il porto turistico».
Quali furono le proposte che animarono il dibattito politico dell’epoca sul tema della portualità?
«Già durante la giunta Menna, alla fine degli anni ’60, un gruppo di noi consiglieri di differenti sensiblità politiche, tra cui anche Cacciatore e Virtuoso, propose di realizzare il porto commerciale ad oriente. Fu perfino predisposto un progetto da parte del professor Ferro dell’Università di Padova, che avrebbe avuto però un costo ancora maggiore per la sua realizzazione. Ma alla fine il tutto si limitò ad un discorso accademico, il progetto non si sviluppò anche per via delle problematiche che riguardavano la condizione dei fondali».
Qual è stato l’evento storico che ha visto protagonista il porto che le è rimasto maggiormente impresso in quegli anni?
«Ormai in pochi lo ricordano, ma quando ero sindaco, nel gennaio del 1979, la motonave Stabia per una tempesta e dopo un’errata manovra del capitano, si arenò andandosi a scontrare contro il molo antistante la Baia. Ci furono dodici morti e sopravvisse soltanto uno dei membri dell’equipaggio, un mozzo, fu una tragedia immane che attirò l’attenzione delle cronache nazionali. E fu proprio il Comune che si prodigò per l’assistenza alle famiglie e per il rinvenimento delle salme, che tra l’altro nemmeno tutte furono recuperate».
Tragedie come quella già allora misero in luce la necessità di effettuare il dragaggio del porto nell’ottica di una sua più generale messa in sicurezza, cosa che è tornato argomento di grande attualità: cosa ne pensa?
«Il dragaggio è sicuramente un’esigenza indifferibile, perchè l’erosione costiera è divenuta davvero pericolosa, anche se vedo che purtroppo non si è ancora giunti ad un pieno accordo tecnico sulla questione».
Il mare può essere considerato anche una risorsa turistica per la nostra città: che opinione ha sul piano di ripascimento del litorale recentemente varato?
«Direi che è un progetto che si trova in linea con l’assetto che già decenni fa si voleva dare alla città. Il piano regolatore Marconi, precedente a quello di Bohigas, individuava Pastena come un’area dedita essenzialmente alla balneazione. Molti irpini comprarono appartamenti per fruire del mare che si trovava dinnanzi le loro case». Crede che la fascia costiera oggi sia adeguata all’immagine di una città a vocazione turistica come Salerno? «Salerno è una città di mare, e la fascia costiera non va abbandonata. Sono d’accordo con questo tipo di articolazione urbanistica della città e credo che progetti come quello della delocalizzazione non siano proponibili, però credo sia necessario valorizzare di più il litorale, altrimenti infrastrutture importantissime come il Porto Marina d’Arechi, frequentato da un pubblico variegato, di caratura anche internazionale, rischiano di rimanere delle cattedrali nel deserto».