PAGANI/S.VALENTINO. False assunzioni in ditte di pulizie per frodare l’Inps: la Cassazione conferma ancora una volta il teorema Lenza. Eseguita ieri l’ordinanza di custodia cautelare agli arresti domiciliari per un presunto procacciatore d’affari Vincenzo Manganelli di San Valentino Torio. Per un difetto di notifica, la sua posizione davanti ai giudici della suprema corte era tornata indietro, rispetto a quella di Immacolata Napolano, sorella dei due titolari del patronato Inapi, ritenuto uno dei centri del raggiro a Pagani, a Francesco Santilli, contitolare con il padre Giuseppe, di uno studio di consulenza del lavoro e uno dei procacciatori Alessandro Di Bartolomeo (tutti liberati in seguito). La vicenda nasce dalla decisione del tribunale del Riesame di Salerno che aveva accolto l’impugnazione del pm Roberto Lenza contro il provvedimento del tribunale di Nocera Inferiore presieduto da Domenico Diograzia, che aveva disposto l’obbligo di firma in sostituzione degli arresti domiciliari. Il filone dell’inchiesta “Mastrolindo” che riguarda tali indagati è da tempo a processo, condotta dai carabinieri della sezione di Pg della procura di Nocera Inferiore e dal pm Roberto Lenza. Gli inquirenti hanno scoperto lavoratori residenti presso il patronato o presso le abitazioni o gli studi dei consulenti del lavoro, 9.500 fasulle posizioni previdenziali scoperte messe in campo per frodare all’Inps le indennità di malattia, disoccupazione e maternità, divise poi tra i falsi lavoratori e gli organizzatori delle truffe. I danni per l’Inps è di almeno 41 milioni di euro solo in questa tranche d’inchiesta per aver erogato indennità di disoccupazione e maternità a falsi lavoratori. Molti operai indicavano quale loro residenza persino l’indirizzo del patronato Inapi, gestito dai fratelli Giovanni e Donato Napolano, uno dei centri delle truffe. In altri casi l’indirizzo del richiedente era quello del Caf (centro di assistenza fiscale), gestito da Donato Napolano, a Pagani. L’Inps chiarì che in questo modo le lettere di bonifico per la riscossione delle indennità venivano indirizzate direttamente o al patronato o agli studi dei consulenti del lavoro. «Era evidente -sottolineò il gip Alfonso Scermino che ordinò 13 arresti per l’operazione Mastrolindo- che in tale modo l’operaio era costretto a recarsi presso la sede del patronato per il ritiro del bonifico e -verosimilmente- versava l’importo pattuito per la falsa assunzione». Va ricordato, infatti, che, secondo gli inquirenti, i falsi assunti percepivano solo una parte dei sussidi e che spesso erano costretti a cedere agli organizzatori della truffa addirittura il 70%.
Alfonso Serra