di Erika Noschese
A volte la demenza viene vista come una malattia lontana, un problema che riguarda solo gli anziani. Eppure, con oltre 55 milioni di persone che convivono con la demenza a livello globale e circa 10 milioni di nuovi casi diagnosticati ogni anno, questo disturbo rappresenta una delle sfide più urgenti per la salute pubblica. L’invecchiamento della popolazione è un fattore chiave, ma non è l’unico.
Ricercatori di tutto il mondo hanno infatti individuato una dozzina di fattori di rischio modificabili, legati allo stile di vita e all’ambiente, come il livello di istruzione, la depressione, l’isolamento sociale e l’inattività fisica. Questo dimostra che non siamo affatto impotenti di fronte a questa malattia, ma che la prevenzione è possibile a ogni età, a partire da piccole e grandi scelte quotidiane.
In quest’intervista, la dottoressa Antonietta Grandinetti, vicepresidente del Consiglio regionale degli psicologi della Campania, spiega come la psicologia possa offrire strategie concrete, al di là di quelle mediche, per aiutare le persone ad affrontare l’invecchiamento in modo da ridurre il rischio di declino cognitivo. Dalla gestione dell’isolamento sociale all’importanza dell’apprendimento continuo, la dottoressa Grandinetti ci guida attraverso un percorso di consapevolezza e prevenzione, sottolineando il ruolo cruciale del benessere psicologico nella lotta contro la demenza.
L’invecchiamento della popolazione è un fattore chiave nell’aumento dei casi di demenza. La psicologia può offrire strategie specifiche, al di là di quelle mediche, per aiutare le persone ad affrontare l’invecchiamento in modo da ridurre il rischio di declino cognitivo?
«In Italia l’età media si è notevolmente allungata, ma questo non significa che sia migliorata la qualità della vita della persona anziana. I sintomi, sappiamo, sono vari: apatia, ansia, disturbi del sonno, comportamenti verbali ripetitivi. Cosa possiamo fare? Sicuramente, se è vero che si tratta di una risposta a un deterioramento cognitivo importante e a una difficoltà a esprimere i propri bisogni o stati emotivi, è chiaro che un ambiente non familiare peggiora questa situazione. Tutto ciò che è ripetizione riduce il disagio della persona che vive questo deterioramento. Cosa si può fare, dicevamo? Ci sono una serie di strategie che possono essere messe in campo: cercare di ridurre i cambiamenti, garantire la presenza di persone familiari, poter consentire alle persone di raccontarsi in modo tranquillo, con un tono di ascolto. Mettersi in una condizione di ascolto. È chiaro che bisogna capire se si tratta di un invecchiamento sano o patologico, perché c’è un invecchiamento che ha a che fare con la fase evolutiva della persona. Le funzioni cognitive sono le più inficiate: memoria e orientamento. Quando siamo confusi e non ci orientiamo, è chiaro che la persona che sviluppa la demenza ha questo stato di confusione e quindi subentra l’agitazione e l’irritabilità, frutti della paura. Se dovessi stare in un posto che non conosco, non vedendo familiari intorno a me, non sapendo come tornare in un luogo sicuro, mi agiterei. Questo è ciò che vive una persona che ha una demenza. Perciò poi subentra l’ansia, l’agitazione e altro ancora».
L’isolamento sociale e la depressione sono indicati come fattori di rischio per la demenza. Come possono gli psicologi supportare le persone che affrontano queste condizioni, specialmente in un’ottica preventiva? Esistono programmi o iniziative specifiche in Campania in tal senso?
«Sicuramente esistono una serie di studi sull’Alzheimer e sull’esordio precoce della demenza. Esistono centri residenziali che si occupano di Alzheimer e demenza, con una serie di attività messe in campo per affrontare questa situazione. Rispetto all’isolamento, è chiaro che può coinvolgere una fascia giovane, e andrebbe compreso il significato dell’isolamento: se è legato a uno stato emotivo o al luogo in cui si vive.
La nostra regione, per quanto riguarda l’intervento psicologico, ha messo in campo una serie di azioni come la psicologia di base, presente su tutte le sette ASL e su tutti i 73 distretti. Parliamo di due unità per distretto, quindi di 148 psicologi che garantiscono il servizio di psicologia di base, voluto dall’Ordine degli Psicologi che ha trovato risposta nella Regione Campania, con le azioni messe in campo dalle aziende sanitarie proprio per promuovere e stimolare quello che è il sommerso e la richiesta di aiuto psicologico. Immaginiamo che i LEA ci dicono che va garantita l’assistenza psicologica ai cittadini. Quindi mettere in campo un servizio così capillare su tutto il territorio ha proprio il valore di fare in modo che le persone possano rivolgersi in maniera gratuita, accedendo tramite il medico di base o il pediatra di libera scelta, con interventi precisi proprio per fronteggiare quello che può essere un momento di disagio psicologico. Ovviamente è rivolto anche agli anziani, con azioni messe in campo a questo scopo. Immaginiamo anche il servizio di psicologia scolastica, per cui l’isolamento di un bambino in fase evolutiva può essere intercettato a scuola tramite l’aiuto dei docenti. Le azioni messe in campo dall’Ordine degli Psicologi della Campania e dalla Regione Campania cercano di stimolare la richiesta di aiuto delle persone per poter fare in modo che possano richiedere aiuto e avere un intervento tempestivo e corretto. Sappiamo bene che un intervento precoce e tempestivo riduce la criticità. Oltre a ridurre la cronicità, riduce anche i costi sanitari».
Va sottolineata l’importanza di un’istruzione di qualità fin dalla tenera età per ridurre il rischio di demenza. In che modo la psicologia può contribuire a sensibilizzare famiglie e istituzioni sull’importanza dell’apprendimento continuo come forma di prevenzione, anche in età adulta?
«Tutti gli interventi di prevenzione sui nostri territori, nelle nostre ASL, promuovono i comportamenti virtuosi e gli stili di vita sani. Anche lo stimolo e lo sviluppo delle funzioni cognitive, che vanno in qualche modo “stimolate”, è sicuramente qualcosa che viene detta in tutti i momenti in cui c’è un’interazione con pediatri e famiglie, in interventi fatti anche all’interno di istituzioni scolastiche o nei consultori delle ASL. Gli psicologi cercano di spiegare come mai queste competenze sono skills che vanno comunque attivate e promosse».





