Stasera alle ore 20, in scena dal teatro Verdi di Salerno “La furba e lo sciocco” di Domenico Sarro, per la regia di Riccardo Canessa
Di Olga Chieffi
La scoperta del Settecento napoletano con la rassegna “covid” in streaming del Teatro Verdi di Salerno, propone, stasera, alle ore 20, sui canali istituzionali del Comune, del Sindaco, della regione e del massimo cittadino “La Furba e lo sciocco” di Domenico Sarro, due intermezzi composti per l’opera seria “Artemisia”. Daniel Oren ha ben pensato di affidarsi a specialisti del campo, a cominciare dal regista Riccardo Canessa, unitamente al direttore Ivano Caiazza, che sarà alla testa dell’organico del Verdi, al soprano Giuliana Gianfaldoni e al baritono Filippo Morace, uno dei big meister del nostro conservatorio, mentre scene e costumi saranno firmati dal gusto di Alfredo Troisi.Questo intermezzo è parte integrante dell’opera Artemisia di Sarro e, aveva lo scopo di alleggerire e rendere più fruibile l’opera seria. La furba e lo sciocco di Domenico Sarro, risale al carnevale 1731, quando va in scena l’opera seria Artemisia su testo originale di Apostolo Zeno. Domenico Sarro è il vero dominatore della scena musicale a Napoli, insieme a Leonardo Leo, essendo scomparsi i loro più autorevoli competitori: Alessandro Scarlatti nel 1725 e poi Leonardo Vinci nel 1730. Sarro cominciò a servire la Real Cappella, l’istituzione musicale più prestigiosa di Napoli, come vice-maestro nel 1703, solo nel 1737 ne divenne maestro titolare. Tuttavia in quel lungo periodo Sarro accumulò decine di cariche presso istituzioni diverse, divenendo di fatto il più potente se non il più stimato dei musicisti napoletani. Il contributo più interessante di Sarro alla musica europea del suo tempo è probabilmente nel genere della cantata e della serenata, ma anche i suoi intermezzi contengono elementi di spicco. Il libretto de’ “La furba e lo sciocco”, edito per la rappresentazione napoletana del 1731 è molto raro e anche l’operina è stata rappresentata di rado. La vicenda narrata è molto semplice, ma condotta con un raro gusto dei particolari esotici, quali le deformazioni linguistiche del francese e del tedesco, gli abiti del travestimento, il ballo e così via. I protagonisti sono, come sempre negli intermezzi napoletani, una signora costretta dalla povertà a cercare un marito nobile e ricco e un conte abbastanza stupido e tronfio da cascare nella rete. I nomi esprimono bene le loro rispettive qualità: la furba è Madama Sofia (dunque “sapiente”) e lo sciocco è il Conte Barlacco, condannato a subire. La situazione sarebbe già facilmente sciolta nel primo intermedio, ma l’autore ha voluto inserire dei diversivi inaspettati per giungere all’inevitabile lieto fine. La medesima situazione si ritroverà una ventina di anni più tardi nel Don Trastullo di Niccolò Jommelli o nella Serva padrona di Pergolesi. I nomi stessi dei personaggi offrono un’indicazione precisa: Sofia, in greco la sapienza e il conte Barlacco, sciocco, debole e presuntuoso, premesse necessarie per capitolare di fronte all’avvenenza e alla scaltrezza. Forse è un modo di vedere il femminile in chiave negativa se il matrimonio viene perseguito per interesse, ma il pubblico non può che divertirsi di fronte a una trama dinamica e sottile. Quantunque “La furba e lo sciocco” sia un intermezzo indipendente dal dramma che lo ospita, è tuttavia ravvisabile un tenue legame con quest’ultimo: il trait d’union è costituito dall’argomento della guerra. L’episodio del duello nell’intermezzo, l’aria “Non fuggire mammalucca”, il travestimento da ussaro di Sofia, il fil rouge che lega le varie arie “Mi rimbomba dentro il core” e “Son per lei un zibaldone”, sono tutti elementi che richiamano in chiave ironica l’aulica vicenda bellica dell’Artemisia. Il duello tra Sofia, travestita da soldato, e Barlacco, mette sicuramente alla berlina la tredicesima scena del terzo atto di Artemisia, in cui Leonato ed Eumene, rivali in guerra e in amore, si sfidano a colpi di spada. Un legame con Artemisia che Riccardo Canessa ha dichiarato voler mantenere, attraverso gli abiti di scena di Madama Sofìa. L’opera ha sempre commentato la storia reale, per poi restituire il giudizio al popolo, e questa parodia militaresca ove il militare austriaco l’ussaro, diventa una sorta di ridicolo villano della situazione, e dove le raffigurazioni musicali poste, a fondamento di un discorso celebrativo, vengono decontestualizzate e rese volgari, per colpire latentemente l’imperatore Carlo d’Asburgo che aveva riorganizzato le difese dei suoi possedimenti italiani, abolendo il Battaglione e gli Uomini d’arme per sostituirli interamente con soldati austriaci. Una così ampia presenza militare, percepita come straniera, creava malcontento ai piedi del Vesuvio, ed ecco la parodia affidata ai due personaggi femminili, Artemisia, la regina guerriera e Madama Sofia, che impugna la spada per sistemarsi col gabbato.