Questa sera, alle ore 19,30 la pianista vietrese sarà protagonista di “Scene di Musica” nella Chiesa di Santa Apollonia
Di OLGA CHIEFFI
Saranno le antiche pietre di Santa Apollonia, perfette per l’acustica offerta, la cornice del recital “Scene di musica”, della pianista vietrese Marina Pellegrino, elemento di spicco del magistero di Andrea Lucchesini. Un evento, questo, patrocinato dal Comune di Salerno, che vede lo spazio come il punto di riferimento per la musica da camera in città, si svolgerà questa sera, alle 19.30. Il brano inaugurale della serata accenderà i riflettori sull’arte della variazione, con l’ Improvviso op.142 n°3 di Franz Schubert, di cui la pianista saprà sottolineare la bellezza, ovvero quella dinamica sempre sconvolta, persino terremotata, quel quid che si chiude nel cuore dell’emozione soggettiva, si confonde col vapore del ricordo, si frantuma in tanti rivoli di memorie. Una pagina vissuta sul crinale di tali contrasti, con un pianoforte che mostrerà tenera e trascinante profondità esprimendo in segreto il moto della passione, del cuore e della mente insieme. Marina Pellegrino dedicherà, quindi al pubblico salernitano, le tre romanze di Robert Schumann op.28, risalenti all’ultimo fecondissimo anno in cui l’autore componeva solo per piano. I tre pezzi sono molto diversi tra loro: la prima romanza, in Si bemolle è uno studio di agilità in forma di scherzo con trio e la seconda in Fa diesis, corrisponde a ciò che si intende una melodia intensamente lirica, mentre la terza, in Si è un rondò con quattro temi, animati e vivaci. La seconda parte del rècital saluterà l’esecuzione di due brani di raro ascolto, a cominciare dalla Suite op.14 di Bela Bartòk, datata 1918. Con questa pagina il genio transilvano, intendeva cambiare lo stile pianistico, rendendolo trasparente, fatto di soli “ossa e muscoli”, in opposizione al pesante stile accordale tardoromantico. La scrittura lineare, la nettezza estrema dei contorni, la distinzione e la dissociazione dei timbri diventano base di uno stile che si pone come vero e proprio manifesto di scrittura neoclassica, attraverso una drammaturgia articolata in due pannelli giocosi, umoristici, vitalistici e altri due cupi e mortiferi, radicalmente contrastanti con i primi due. Finale con le Variazioni e fuga su di un tema di Händel op. 24, vera summa della ricerca portata avanti da Brahms sulla struttura del ciclo pianistico su soggetto dato, composte nel 1861. Il tema è tratto dall’Aria della Prima suite in si bemolle maggiore, una pagina del 1733 che colpisce per una semplicità estrema. Brahms vede nel tema di Haendel, scritto per le figliolette di un aristocratico inglese, un modello di innocenza e di candore, e nelle Variazioni alterna sistematicamente, anche nella scrittura strumentale, la semplicità e la luminosità “antica” e la complessità e la cupezza “moderna”. L’ “antico” trionfa al fine nella Fuga, strumentata come una trascrizione da un ipotetico originale per organo. Il ricorso a una tecnica barocca – soggetto per inversione – apre nella Fuga un momento di nostalgia lancinante che dice bene dove batta il cuore di Brahms.