di Andrea Pellegrino
Posizione interlocutoria quella di Vincenzo De Luca, ieri nel corso della direzione nazionale del Partito democratico. Nessuno strappo con nessuno. E neppure con Matteo Renzi. Insomma, il governatore della Campania non scopre del tutto le sue carte. Attende l’evolversi della situazione. Chiede unità agli “scissionisti” e mandato pieno al segretario nazionale. «Io guarderei come una tragedia una eventuale divisione del partito – dice De Luca che prosegue – ma se la preoccupazione è evitare la dittatura della maggioranza io sono d’accordo, se il problema è garantire lo spazio della dialettica io sono d’accordo, ma se si immagina che questa debba tradursi in un’interdizione del diritto e del dovere di un segretario eletto di imprimere la propria linea non sono d’accordo». «Il voto di coscienza – incalza il presidente della Regione Campania – può essere consentito una volta, due, ma non può dilatarsi all’infinito. Il voto di fiducia deve essere un vincolo di lealtà per tutti». «Credo – dice ancora – che ci siano le condizioni sulla base di una riflessione seria per andare avanti e riprendere il cammino, consapevoli che questa è unica classe dirigente a disposizione dell’Italia». Poi sui programmi il governatore è chiaro: «Dobbiamo chiedere scusa al mondo della scuola. Vorrei evitare che si facesse il bis della riforma della scuola per la pubblica amministrazione, si è dato un messaggio intimidatorio a tanti dirigenti con la riforma. Non c’è più un solo dirigente disposto a mettere la firma perché verrebbe punito con il dimezzamento dello stipendio. La prossima settimana si approvi un decreto che ricostituisca un elemento di civiltà giuridica e poi si ridefiniscano i limiti e le caratteristiche del reato di abuso d’ufficio». E ancora: «Sulla sicurezza registro con interesse l’iniziativa del Governo. Dobbiamo essere orgogliosi dei livelli di umanità e accoglienza che abbiamo espresso ma nelle aree urbane c’è’ un problema enorme di sicurezza dei nostri cittadini, in particolare della povera gente». Intanto passa la linea Renzi con la convocazione dell’assemblea e l’apertura al congresso. La mozione è passata con 107 sì, 12 no e 2 astenuti. In particolare una mozione della minoranza Pd chiedeva all’assemblea, tra le altre cose, di «sostenere il governo fino al 2018», ma alla fine il documento non è stato proprio votato. Non ha partecipato al voto il ministro della giustizia Andrea Orlando: «Bisogna evitare di scaricare le tensioni sulla tenuta del governo, mi hanno risposto che questo rischio non esiste, spero abbiano abbiano ragione, ma non ne sono del tutto convinto. Quello che puo’ fare ognuno di noiosserva- e’ evitare che questo accada. Continuero’ fino all’assemblea nazionale a fare una richiesta di un patto programmatico». La minoranza democrat, intanto, valuta le prossime mosse.«Le premesse erano pessime e l’esito ne è stato la conferma. Scissione? Faremo le nostre valutazioni nei prossimi giorni», dice, infatti, Davide Zoggia. I bersaniani rivendicano di aver tenuto un atteggiamento il più possibile dialogante e di ricucitura: «Sia Bersani che Speranza hanno fatto lo sforzo di non interrompere un filo ma siamo nelle mani di irresponsabili. Da oggi è chiaro: ‘Paolo stai sereno’. Nei prossimi giorni ci riuniremo, sentiremo anche i territori e valuteremo cosa fare». «Il Congresso prima del voto. L’Assemblea di sabato prossimo fisserà la data», commenta, invece, il segretario provinciale di Salerno del Pd, Nicola Landolfi. «Sullo sfondo, irrisolta, la data delle elezioni, che io quoto primavera 2018. L’impressione – dice Landolfi – da modesto militante è che si corra “a fari spenti nella notte” e che, come ha detto Orlando, occorrerebbe cambiare le regole del congresso, favorendo la discussione e non una mera conta di tessere e file indiane. È un punto che hanno ripreso anche Fassino e Delrio. De Luca è andato al dunque, parlando della scuola, proponendo la riforma del codice degli appalti, leggi per il lavoro e la riforma dell’abuso d’ufficio. Non so perché ma sento come un sapore di scollamento epocale, tra chi parla delle cose e chi ha sete di contarsi. Continuo a credere – conclude – che la vocazione del Pd sia quella di battersi per l’applicazione dell’articolo 1 della Costituzione e Per Unire: i territori, le generazioni e i generi, le competenze, i diritti con i doveri».