«De Cristofaro e quel mio Gesù liberatore» - Le Cronache
Spettacolo e Cultura

«De Cristofaro e quel mio Gesù liberatore»

«De Cristofaro e quel mio Gesù liberatore»

È cominciata ieri sera con grande successo di pubblico la rassegna di CorpoNovecento presso il Teatro Nuovo di Salerno, con una programmazione intensa fino a fine mese. Il direttore artistico Pasquale De Cristofaro ha proposto una vasta offerta che prevede la copertura di ampi settori dell’arte, della cultura, dello spettacolo e delle dinamiche sociali. Negli ultimi giorni, il 26 marzo, sarà ospite della rassegna il prete anticamorra don Aniello Manganiello con il giudice Catello Maresca. Quest’ultimo, anni fa, riuscì a sgominare il clan dei Casalesi con una gigantesca operazione investigativa. Ospitiamo questo articolo di don Manganiello, che parla dello spettacolo “Gesù è più forte della camorra”, tratto dall’omonimo libro di cui è autore con Andrea Manzi, che tra un mese sarà riallestito proprio con la regia di Pasquale De Cristofaro.


di don Aniello Manganiello *
Lo spettacolo “Gesù è più forte della camorra” non racconta soltanto un’emozione ma una vita. La mia vita. È perciò difficile riassumere, in questo breve testo, il mio stato d’animo durante la sera del debutto presso il teatro Pasolini di Salerno, il 6 aprile del 2019.
Innanzitutto, ricordo il mio stupore, nonostante non fossi del tutto impreparato all’evento. Avevo letto, infatti, la riduzione teatrale che il co-autore Andrea Manzi aveva fatto del libro-inchiesta edito nel 2011 da Rizzoli, sostenuta dalla lucida drammaturgia del regista Pasquale De Cristofaro. Un lavoro denso che trasferiva nelle fasi ben concatenate dello spettacolo le tappe salienti della mia vita spesa tra gli “ultimi” di Scampia in cerca di speranza e di salvezza. Pur conoscendo il testo, non avrei mai immaginato che l’intuizione teatrale potesse rendere, in maniera così compiuta, il mio diario di sedici anni vissuti sulla prima linea di un quartiere sempre demonizzato e solo raramente sostenuto nelle sue fragilità. A mano a mano che i dialoghi riattraversavano la mia vita di debole strumento nelle mani del Signore sembrava che le cose e le persone cominciassero a raccontare i loro segreti. Una sorta di prodigio che veniva fuori da un teatro, nel quale non coglievo – così come mi era accaduto in passato per altre rappresentazioni – geografie fittizie o costruzioni utopiche, ma verità corpose, vive come pietre. Nessun artefatto, ma vita come storia, verità reinventate per la scena sul filo ben teso della realtà che avevo vissuto e, da qualche anno, continuo a vivere tra i ricchi di niente di un’area devastata dalla crisi e dalla criminalità ma più ancora ferita dal silenzio delle istituzioni e della Chiesa.
Era molto difficile raccontare le tante cose avvenute negli anni senza cadere nella retorica, nel polemismo d’accatto o, peggio ancora, nella propaganda del politicamente corretto che va tanto di moda anche nel variegato fronte anti-camorra. Solo un grande teatro – scarno e profondamente innovativo, nel quale la forza della parola risale attraverso il corpo degli attori – poteva riscrivere la difficile pagina di vita, da me vissuta, della contrapposizione con il cardinale di Napoli e con i vertici della mia Congregazione. Un confronto duro che sfociò nel mio allontanamento da una terra per la quale avevo sostenuto, da sacerdote e da cittadino, una silenziosa lotta quotidiana in difesa di tanti ragazzi poi recuperati alla vita.
Lo spettacolo è riuscito, forse ancora più del libro dal quale nasce, a rilanciare i propositi di un’antimafia non spettacolarizzata, che ha l’unico obiettivo di concretizzarsi, ogni giorno, in un’azione non violenta e mai gestita dall’alto, un’antimafia in grado di agire per l’uguaglianza delle opportunità, ripensando radicalmente il concetto stesso di comunità. La denuncia del male deve essere credibile e ha una sua ragione d’essere soltanto se accompagnata dall’intento di porvi rimedio. Perciò, quando Andrea Manzi e Pasquale De Cristofaro mi parlarono dell’idea dello spettacolo, diedi la mia disponibilità ma temevo che sulle tavole del palcoscenico potesse manifestarsi l’agonismo etico tipico di molte associazioni di legalità o, peggio ancora, la solita antinomia “Stato-criminalità”, che allontana dal tema di fondo delle aree degradate, che è quello del recupero di territori di legalità attraverso il pentimento profondo che può nascere nel cuore dei malavitosi. Invece, e per fortuna, lo spettacolo lasciò passare il messaggio che la premessa per la riforma profonda della società, specie in alcune terre possedute dalla camorra, sta nel promuovere tra i singoli la cultura dell’io sono e non dell’io voglio. I nostri giovani, cioè, non possono stare alla finestra nel veder passare la storia, ma devono poterla indirizzare, deviare, ricostruire dalle fondamenta, ispirandosi alle culture del sostegno, del confronto, dell’accoglienza e della solidarietà, che sono i punti-cardine della nostra Costituzione.
Questi principi sono stati evidenziati, grazie all’intelligente testo e alla preziosa regia di Pasquale De Cristofaro, con un’ardente delicatezza, senza mai cedere a grammatiche utopiche o a celebrazioni retoriche. Lo spettacolo ha focalizzato l’attenzione sulla mia sofferenza, che – da personale e intima – è diventata sofferenza di una comunità: ho rivissuto così il mio drammatico e ingiustificato trasferimento, la insensibilità di molti, il piglio decisionale dei miei superiori, la solitudine per non aver ritrovato, in quei giorni amari, la condivisione del mio stato d’animo e, soprattutto, la mancanza di comprensione per il grande dispiacere della gente. Ho rivisto davanti ai miei occhi il “patto del disincanto” con la gente, che ha legato la mia opera a quella di Ultimi-Associazione di legalità, di cui “Gesù è più forte della camorra” rappresenta il manifesto ideale e la piattaforma d’azione. Abbiamo salvato, praticando questi principi, tanti ragazzi che si sono allontanati dai clan e ora vivono vite serene e generose, al servizio di altri giovani in difficoltà. Una rivoluzione favorita dalla capacità di ascolto, che è il punto di partenza del nostro impegno nella società ferita. Tante volte, come lo spettacolo ha evidenziato, abbiamo capito che il malvivente è soltanto un cittadino acerbo e che non esistono gli irrecuperabili.
Bravi l’autore, il regista e gli attori che mi hanno riportato alla mente la crisi dei giorni vissuti, trasferendola sotto forma di messaggio agli spettatori, che si sono immedesimati in un percorso e in una nuova, possibile pratica di vita. Mi viene, pertanto, da dire che quando gli attori riescono a calarsi non soltanto nei personaggi, ma prima ancora nel contenuto forte e profondo del testo, è proprio lì che riescono a donare qualcosa di grande all’umanità. Come è avvenuto per lo “spettacolo della mia vita”, che mi fa piacere stia per essere riallestito, al fine di proporre soprattutto ai tanti ragazzi di oggi in difficoltà la possibilità concreta di un miracolo civile di salvezza.
L’unica efficace antimafia possibile è quella delle opere e lo spettacolo non lo dimostra soltanto, ma lo certifica con la forza sapiente del teatro d’autore.
Parroco di Scampia-Miano e fondatore di Ultimi-Associazione di legalità