Daniel Oren e Papa Francesco - Le Cronache Ultimora
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Daniel Oren e Papa Francesco

Daniel Oren e Papa Francesco

Olga Chieffi “

È con immensa tristezza che ho appreso della scomparsa di Papa Francesco. Ho avuto l’onore di incontrarlo nel 2015, in occasione di un concerto che dirigevo e che lui aveva organizzato in omaggio ai più bisognosi. Quel momento rimarrà per sempre scolpito in me. Abbiamo parlato di musica, naturalmente, ma anche della religione ebraica. Sono stato profondamente colpito dalla sua benevolenza, dalla sua apertura mentale e dal suo calore umano. Prestava grande attenzione alla musica, che considerava un potente strumento di pace e amore universale. Quel colloquio ha lasciato un’impronta indelebile nella mia vita. Essere direttore d’orchestra è una missione che richiede punti di riferimento, figure ispiratrici. Papa Francesco, con il suo profondo umanesimo, è diventato per me un riferimento essenziale, sia nella mia vita personale che nel mio percorso artistico”. Così il M° Daniel Oren ha commentato commossamente la scomparsa del Papa. Il Pontefice ha sempre considerato fratelli e alle sorelle ebrei di Israele, sottolineando come il rapporto che lega la Chiesa al popolo di Israele sia particolare e singolare, sino al consolidamento alla fine dello scorso anno dell’amicizia ebraico-cristiana dopo la tragedia del 7 ottobre, data dell’aggressione di Hamas a Israele, con quella lettera con cui chiamava tutti gli abitanti della Terra Santa a lavorare per la Pace. L’incontro tra la Kippah di Daniel Oren e il pileolo di Papa Francesco porta una data 14 maggio 2015, quando diresse l’Orchestra Filarmonica Salernitana in Sala Nervi, grazie all’invito dell’Elemosineria Apostolica che ha il compito di esercitare la carità verso i poveri a nome del Sommo Pontefice i nostri fratelli più bisognosi, davanti a duemila persone, con in prima fila proprio i poveri e profughi. Due persone illuminate e aperte protagoniste di quel concerto, con in programma musica di Marco Frisina, dedicate a Dante e al tempo pasquale un tempo contemplativo in cui la luce della risurrezione risplende sul mondo rischiarandone le tenebre, esso ci rende portatori della gioia del Risorto, gioia che nasce dalla riconciliazione operata dalla Redenzione di Cristo, è certezza di perdono e di pace, luce di benedizione e di vita. Una benedizione quella di papa Francesco che fece pensare al nostro direttore a quella di ʾAhărōn, fratello di Mosè e primo sommo sacerdote del popolo ebraico. Un incontro questo che ci ha fatto balenare in mente una pagina di Heschel, in cui afferma che la musica non è un prodotto dell’uomo, non è creazione nel senso consueto del termine, ma che essa sta nell’uomo, è la sua stessa vita, è il ritmo interiore ed esteriore che regola il suo comportamento, è la legge liberamente assunta che modula dall’interno ogni sua ora, è il tempo che prende forma e che non viene lasciato, così, fluire senza argini, come acqua su pietra. La melodia rappresenta l’estremo tentativo umano di catturare l’uniformità del tempo nel suo scorrere ineluttabile e disperante, di piegarlo alla sua volontà creatrice, costringendolo in ritmi che esprimano le scansioni interiori della vita. Oggi, il nostro sentire musicale deve guardare alla musica delle azioni, fedele specchio di un crogiuolo di culture e di storie, anche politiche, precarie oggi instabili e direi che il far musica, trascurando gli sviluppi tutt’altro che semplici e lineari delle posizioni nel tempo, cercando di forzarne unitariamente il discorso, potrebbe sintetizzarsi in una dichiarazione che Cage stese, in margine al suo “A Year from Monday”, nel ’63: “Vorrei che le nostre attività fossero più sociali, e sociali in modo anarchico”. Ogni generazione di musicisti ha ereditato una tradizione, un complesso già stabilito di costumi e di tecniche che viene arricchito dai suoi sforzi medesimi e quindi trasmesso alla generazione successiva. Le figure più importanti, di generazione in generazione, in effetti, hanno solo voluto che la loro musica esprimesse i fermenti del loro tempo, per qualcuno sommovesse la società. L’ultimo messaggio di Papa Francesco è stata un’invocazione di Pace: se per il Maestro Daniel Oren, da credente quale è, la musica è preghiera, nell’aria oggi risuona il clarinetto solo dell’ “Abime des oiseaux”, terzo movimento del “Quatuor pour la fin du temps”, composto nel 1940 da Oliver Messiaen, nel campo di concentramento tedesco Stalag VIII A in Sassonia. L’abisso è quello del Tempo, con i suoi dolori e le sue languidezze. Gli uccelli sono l’opposto del Tempo, sono il nostro desiderio per la luce, per le stelle, per gli arcobaleni, per la pace e i vocalizzi festosi. “Una musica che culla e che canta, che è nuovo sangue, un gesto eloquente, un profumo sconosciuto, un uccello senza riposo”(O.Messiaen). Per un nuovo inizio.