di Erika Noschese
Nato il 15 settembre 1963, è docente di lingua e cultura napoletana presso la Fondazione Humaniter e divulgatore della cultura napoletana su web e TV. Rettore dell’Università Pezzotta Gennarino II, si è laureato in economia nel 1986 e ha completato un corso postlaurea in informatica. Ha lavorato in Citibank per due anni, in un’azienda software per tre anni e per ventitré anni al CRIAI di Portici come ricercatore senior. Nel 2017 ha cambiato vita per dedicarsi alla cultura, scrittura e bellezza di Napoli. Successivamente è arrivata la televisione e la popolarità, seguita da uno spettacolo teatrale che racconta lingua, storia e cucina napoletana. Trascorre la sua vita valorizzando la cultura, lingua, gastronomia, teatro, cinema, arte e bellezza partenopee. Ma non ci si limita a Napoli, ed è questa la più grande ricchezza.
Parliamo di Amedeo Colella, scrittore, storico e umorista napoletano che con innato estro riesce a coinvolgere il suo pubblico raccontando del Regno di Napoli, senza mai sminuire – anzi, valorizzando – alcuna tra le città rientranti in quello che Colella cita come “murzetiello sapurito” d’Europa.
Ci sono davvero queste differenze tra Salerno e Napoli?«In realtà sono solamente illusorie. Ora, di fresco, è uscita un po’ di confusione sulla questione calcistica. Partiamo dal fatto che io sono tifoso del Napoli ma la Salernitana è sempre stata la mia seconda scelta. Anche mia figlia, ora, si è fidanzata con un ragazzo che tifa per la Roma. Capirete, quindi, il dramma. Anche se però, poi, voglio condividere anche con lui questa passione.La cultura salernitana e quella napoletana sono assolutamente non dico identiche, ma simili, cioè la storia, la letteratura, tutto condiviso, anche la lingua. Guarda, fra Napoli e Salerno c’è il passaggio fra Torre del Greco e Torre Annunziata, dove la lingua cambia profondamente, no? Però poi ritorna di nuovo, molto simile alla lingua napoletana arrivando nelle prime propaggini di Salerno. Probabilmente è il mare che ci collega. Diciamo che questo è un fatto singolare da studiare, però tanti aspetti linguistici sono assolutamente comuni».
Un esempio?
«Ho fatto tante serate qui a Salerno, recentemente ne ho fatta una che si chiamava “Acquaiuò, l’acqua è fresca” perché qui a Salerno, come a Napoli, c’è un Vicolo della neve.
E il Vicolo della neve si chiama così perché c’erano “‘e nnevare”, le ghiacciaie perché, così come a Napoli, il ghiaccio arrivava dai monti Lattari, dal Faito, quando non c’era il frigorifero negli anni ’30 oppure qua arrivava da Bracigliano: andavano sulle montagne e arrivava in città e qui tenevano i depositi della neve che servivano per rinfrescale le bibite. Ma anche per altri scopi sanitari: non dimentichiamo che questa era la culla della Scuola medica salernitana e questo è un orgoglio di tutto il meridione».
Lei è riconosciuto spesso per la capacità di fornire aneddoti e riscontri storici su modi di dire dialettali che racchiudono storie incredibili. Spesso si sente dire: “Si Salierno tenesse ‘o puort, Napule fosse muort”. Mito da sfatare?
«Guarda, il detto lo conosco però, devo dire, fa parte di una antica rivalità che, secondo me, non ne ha proprio i presupposti.
Guarda, io mi sento così orgoglioso: ho fatto l’esempio della scuola medica salernitana, no? La scuola medica napoletana è una scuola, però recente. È una scuola di Ferdinando Palasciano, di Giuseppe Moscati. Quella salernitana è una scuola che affonda le sue radici del Medioevo, e puntava molto sulla prevenzione, per esempio, su stili di vita e su comportamenti da adottare per prevenire: argomenti che diventano, oggi, estremamente attuali. Trotula De Ruggiero fu la prima donna esponente del mondo medico. E ancora oggi il ruolo delle donne ritorna potente. Voglio dire: io non ci trovo punti di differenza. D’altronde, pure a Bari dicono: “Si Parigi tenesse lu mere, fosse ‘na piccola Ber”».
Nessun significato rilevante, dunque. Solo astio tra tifoserie calcistiche.
«Sì, fa parte di una rivalità, per me antica. Mi dispiace che proprio di recente ci sia stato un ritorno di fiamma sulla rivalità calcistica. Ma su quali basi lo poniamo? Quando c’è un derby: voglio dire Napoli, Salerno, Benevento. Ricordo sempre Napoli-Benevento, quando nel 2017 il Benevento Calcio arrivò in Serie A no? E pure lì ci fu la rivalità fra Napoli e Benevento. Ma perché ci deve essere? Però lì fu una cosa geniale. Sai cosa accadde? Tu sai che il santo protettore di Napoli, San Gennaro, in realtà era vescovo di Benevento, era nato a Benevento. Lui venne decapitato nel 305 dopo Cristo in quel di Pozzuoli.
E allora quando i beneventani vennero a Napoli, provarono a captare la benevolenza del nostro santo protettore e arrivarono con uno striscione su quello che prima era il San Paolo e oggi è il Maradona, che era geniale: diceva “San Gennà, ricuordate a chi sì figlio”, Cioè, geniale. Però noi napoletani, che in fatto di striscioni abbiamo poi fatto gli striscioni più importanti della storia del calcio, quando andammo a Benevento per la partita di ritorno, facemmo uno striscione di risposta che era pura filosofia. Lo striscione diceva: “San Gennà, ‘e figli so ‘e chi s’e ccresce”».
Si cercano sempre le differenze, mai i punti in comune. Eppure questa terra dimostra il contrario.
«Gli aspetti comuni sono quelli soprattutto storico culturali. In fondo anche la stessa Napoli, 2700 anni fa, fu fondata dai Greci che venivano da Cuma. Quindi noi siamo sempre il sud di qualcuno, no? Insomma, i Greci cumani arrivarono sull’isoletta di Megaride e fondarono il primo insediamento di quella città che poi si chiamò Partenope. Insediamenti lungo la costa che hanno radici greche, poi la città diventa romana, Voglio dire, quello che a volte può creare un po’ di dispetto nelle altre province del meridione, è che nei secoli scorsi quando si diceva “napoletano” si intendeva l’intero regno di Napoli, che era il “murzetiello sapurito” d’Europa poiché tutti volevano conquistarci. D’altronde, ci hanno conquistato tutti quanti: prima eravamo arabi, greci, latini, poi vennero i Normanni, gli Svevi, gli Angioini, gli Aragonesi, i francesi, gli spagnoli, i Savoia, di cui ci sono gli otto re all’interno di Palazzo Reale. Noi eravamo questa propaggine al centro del Mediterraneo, una terra meravigliosa, grande clima, grande cultura, strategicamente importante. E quindi non solo abbiamo avuto influssi che arrivano da ogni angolo d’Europa ma poi eravamo il “murzetiello saporito”, cioè il pezzettino che tutti volevano conquistare. Però noi poi abbiamo trasformato questi problemi in una grande opportunità: oggi noi parliamo, greco, latino, arabo, normanno, svevo, angioino. Abbiamo una cucina che è una delle più ricche e variate al mondo. E quindi siamo ecco tutti i figli della medesima cultura. Per me non c’è alcuna differenza».





