Questa sera, alle ore 21, prima sul palcoscenico del Teatro delle Arti, de’ Il Medico dei pazzi nella rilettura particolare del regista napoletano. Don Felice Sciosciammocca sarà interpretato da Massimo Di Matteo
Di Olga Chieffi
Premiere, stasera, alle ore 21, domani in pomeridiana, alle ore 18,30, sul palcoscenico del Teatro delle Arti della rilettura de’ Il Medico dei Pazzi per la regia di Claudio Di Palma. Con un salto in avanti nel tempo, il regista cattura l’ultimo istante, nella storia del nostro Paese, in cui si è sentito con forza il divario tra città e paese, l’ultimo atto di resistenza con il quale la realtà paesana di provincia ha tentato di sottrarsi al processo di omologazione e globalizzazione che le ha inesorabilmente fuse e confuse. Delle moltissime commedie scritte da Eduardo Scarpetta per la propria compagnia, quasi tutte erano, secondo l’abitudine dell’epoca, riduzione di testi francesi. L’autore napoletano adattò e poi attribuì a sé stesso opere che, oltralpe, si sapeva bene di chi fossero, e disse sua anche Il medico dei pazzi, ricavata dal testo, «Pension Schöller», che nel 1890 Carl Laufs sviluppò da un’idea di Wilhelm Jacoby. Scarpetta, nella sua versione datata 1908, inserisce il personaggio di Felice Sciosciammocca, attorno al quale ruota l’intera vicenda, dove gli equivoci e gli scambi di persona regnano sovrani. Commedia dal meccanismo comico perfetto Il medico dei pazzi ha il ritmo irresistibile della grande farsa popolare, e gli spettatori di oggi, come quelli di un secolo fa, non possono non ridere degli improbabili personaggi e della loro credulità. Il protagonista è Don Felice Sciosciammocca, che avrà la voce di Massimo Di Matteo, sindaco benestante di un paesino di provincia che arriva a Napoli con la moglie Concetta (Ingrid Sansone) per incontrare il nipote Ciccillo (Luciano Giugliano). Lo zio crede che il ragazzo, da lui mantenuto agli studi, si sia laureato in medicina e abbia aperto un ospedale psichiatrico, ma Ciccillo è in realtà uno sfaccendato e i soldi li ha sperperati al gioco e con le donne. Così, con l’aiuto dell’amico Michelino (Renato De Simone), il nipote fa credere a zio Felice che la pensione in cui alloggia sia una clinica e che i suoi eccentrici clienti siano malati di mente. Di qui un divertente gioco degli equivoci che fa leva sulle situazioni paradossali e i colpi di scena in cui viene a trovarsi il candido Sciosciammocca, che scambia per matti pericolosi gli ignari ospiti della pensione. Un fuoco di fila di comicità che si muove dunque sul sottile confine tra realtà e finzione, normalità e follia, destinato ovviamente al lieto fine: una volta scoperto l’inganno, Ciccillo sarà perdonato e tornerà al paese con gli zii. “Il medico dei pazzi” è il lavoro più significativo dell’ Eduardo Scarpetta teatrante maturo, certamente il più attuale: infatti, dimostra come don Eduardo che, fu il tramite presso la borghesia napoletana di un modello culturale di derivazione francese imposto dal capitalismo settentrionale dopo l’unità d’Italia, fu anche il primo a presagire la crisi che di lì a poco si sarebbe abbattuta su quella borghesia. Qui, allora, Felice Sciosciammocca è, sì, ancora una volta, il borghese provinciale e agiato, ma appare come smarrito e assente: e non perché irrisolto in quanto personaggio, bensì perché funziona quale catalizzatore o, più esattamente, riscontro speculare della «follia» degli altri personaggi: una «follia» che, poi, consiste nello scarto fra la realtà e l’immaginazione, fra la miseria quotidiana e i sogni assurdi, nelle mire opportunistiche di affrancamento economico di donna Amalia, Angela De Matteo, negli affannosi tentativi di ricucire uno status di appartenenza sociale e culturale del direttore Don Carlo, Peppe Miale e del maestro di musica, Giovanni Allocca, e ancora nell’incrollabile fiducia nel proprio talento del barista Peppino, Antonio Elia, aspirante scrittore, per chiudere con Rosina, interpretata da Valentina Martiniello, fra il bisogno di conquistare una nuova identità di fronte alle certezze che cominciano ad incrinarsi e l’impossibilità di determinarla attraverso il contatto e il dialogo con il prossimo, un contatto e un dialogo perennemente minati, e davvero non per pura coincidenza, da una surreale girandola di equivoci, evocando, così Luigi Pirandello.