Buongiorno, sono Mario chiamatemi Susanna. La “carriera alias” entra nelle scuole del Salernitano - Le Cronache
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Buongiorno, sono Mario chiamatemi Susanna. La “carriera alias” entra nelle scuole del Salernitano

Buongiorno, sono Mario chiamatemi Susanna. La “carriera alias” entra nelle scuole del Salernitano

di Peppe Rinaldi
Non possono guidare un’autovettura, consumare alcolici, vedere certi film, entrare nelle sale da gioco, acquistare tabacchi e biglietti della lotteria. Non possono compiere atti giuridici idonei, non hanno diritto all’elettorato attivo né passivo, cioè non possono votare né candidarsi per le elezioni. Non possono nemmeno assentarsi da scuola senza il consenso dei genitori, però in quella stessa scuola, laddove sia prevista la “Carriera alias” così detta, possono farsi chiamare Lorella se il loro nome è Antonio e, in direzione contraria, pure Decimo Massimo Meridio se lo preferissero a un Anna qualunque. Sono i minorenni italiani (e non solo), quelli che non potrebbero far nulla, teoricamente, ma che possono iniziare a demolire dalle fondamenta, cioè dal nome, la propria esistenza qualora affetti dalla “disforia di genere”, invenzione relativamente recente di un certo mondo accademico e scientifico, di quelli permalosi assai, per «curare» le inquietudini adolescenziali sull’identità sessuale risalenti alla notte dei tempi. Inutile dire che più si è ululato all’emergenza più è aumentato il numero, fino alla esplosione para-statistica degli ultimi anni secondo quanto riferito dal circuito di associazioni, ong, comitati, medici, giornalisti, consulenti familiari, psicologi, insegnanti, sociologi e assistenti sociali che su questa stravaganza, come su altre affini, sono riusciti a mettere insieme il pranzo con la cena. A tacer altro. E’ stato stimato che negli Usa, ad esempio, nel giro di una generazione il fenomeno ha toccato punte del 900% in più rispetto alla precedente: è evidente che, date certe premesse, si tratta di un’induzione generata dal sistema mediatico-culturale e dalla pronosupinazione, ora imbelle ora entusiasta, di scuole, università, media, famiglie e centri di formazione vari. Si inizia col dire «non importa se tu sia maschio o femmina, conta ciò che senti di essere» e si finisce devastati nel corpo e nella mente dopo avvilenti sedute con lo “specialista” del momento e/o iniezioni di farmaci – anche nei bambini, googlare “Clinica Tavistock” di Londra per farsi un’idea, o anche Ospedale Careggi di Firenze – che bloccano o condizionano lo sviluppo ormonale. Tentativi di fornire tramite il Ssn la triptorelina, ormone che incide sulla fase puberale di chi in giovanissima età si sente Andrea invece che Sofia o viceversa, in alcune Regioni italiane sono in corso da tempo e con alterne fortune, per ora. Nel resto del mondo è già successo di tutto e di più. “Carriera alias” non significa automaticamente tutto ciò ma di quel sistema essa è uno degli ingranaggi che, messi in fila, regalano un distopico mondo nuovo che forse manco Huxley immaginò possibile.
A Campagna e Cava de’ Tirreni
In provincia di Salerno sono due finora le scuole che hanno aperto a questa possibilità: sono l’I.I.S. “De Filippis-Galdi” di Cava de’ Tirreni e l’I.I.S. “Teresa Confalonieri” di Campagna, stando all’elenco ufficiale aggiornato al novembre 2023 da Genderlens, associazione che in homepage del sito affastella “schwa” e “asterischi” per non offendere chissà chi, uno dei diffusi addentellati della potente galassia omosessualista (che è concetto diverso, non sempre sovrapponibile a quello di omosessuale sic et simpliciter) che, passo dopo passo, giorno dopo giorno, anno dopo anno è riuscita a inoculare il virus del «gender» in scuole, università, posti di lavoro, istituzioni, organismi internazionali, nell’esercito, perfino nei carabinieri, fino a rendere la cosa normale, diciamo. A riprova, l’ennesima, della fondatezza della “finestra di Overton”, teoria dell’omonimo sociologo.
In questi due istituti, in pratica, si rende possibile che un giovane maschio dotato degli attributi che la natura gli ha dato, decida di farsi chiamare col nome femminile d’elezione (o viceversa) per poter essere poi inserito in un apposito registro e, di conseguenza, tra altro, utilizzare il Wc destinato al sesso opposto. Ignoriamo se la cosa abbia avuto successo, sospettiamo di no, ma ciò che rileva è la predisposizione della scuola e non solo il numero degli iscritti nel registro speciale. Ci sarebbero anche profili di sostenibilità giuridica ma non è questa la sede per discuterne: del resto, una cosa può essere legale ma non per questo meno indecente, vale per il gender e la carriera alias come per tutto. E a chi voglia occuparsi di questi temi sarebbe utile rammentare che, se fosse stata approvata la cosiddetta “Legge Zan” – dal nome del parlamentare padovano, ovviamente del Pd, che sulla propria omosessualità ha costruito business e carriera politica – anche quest’articolo avrebbe comportato il rischio di severe condanne penali: per larga parte delle legislazioni occidentali ciò è già possibile, con effetti più tragici che comici, in Italia il pericolo sembra scampato, almeno fino a quando il flusso fluido delle Schlein e dei Cecchi Paone non potrà rimettervi mano.
Numeri in aumento
Nel solo 2023 il numero di istituti scolastici che in Italia hanno introdotto questo strumento è aumentato notevolmente, da 131 nel 2022 siamo a 254 nel 2023. In Campania sono 17 le scuole coinvolte: dieci a Napoli, due ad Avellino, due Salerno, una a Caserta e due a Benevento. Dal 2024 non ci si attende nulla di nuovo nonostante l’apparente cambio di linea politico-culturale del nuovo governo (chi avviò questa roba in maniera più strutturata fu il governo di Renzi). Si vedrà. Se ciò non bastasse, tra i piedi del cronista sono finiti altri esempi di questo happening lisergico che consente, ad esempio, a maschi che si sentono femmine di competere nelle gare femminili e, ovviamente, vincerle tutte. Per chi volesse, infine, c’è pure l’università di Salerno ad allinearsi al conformismo pseudo-giuridico che ci fa sentire tanto civil* e modern*, oltre all’adozione del rituale “Regolamento di genere” che, temerariamente sfidando il ridicolo, disciplina linguaggio, uso dei pronomi, energie, tempi e spazi accademici in ossequio a questo ininterrotto film di Bunuel sulla ricerca delle nuove rispettabilità sociali.
Genitore 1 e genitore 2
a Eboli
Nel cuore della Piana del Sele, Eboli, pure si registra qualche sintomo di questa ubriacatura densa di paroloni come “rispetto”, “diritti”, “inclusione” e cose così. Non c’è – almeno non che risulti – una scuola con il registro per la carriera alias ma ce n’è stata una che ha attinto a qualcosa che gli è propedeutica e consustanziale: infatti, tra le tonnellate di carte e documenti e nulla osta e autorizzazioni e circolari delle quali è ormai composta la pubblica istruzione, questo giornale ha visionato un modulo per la firma dei genitori degli alunni con su scritto “Genitore 1” e “Genitore 2” al posto di “Il padre – La madre”. Come vampiri dinanzi ad una testa d’aglio i dirigenti scolastici hanno forse qualche problema con quella che loro chiamerebbero, con ieratica ministeriale ispirazione, “genitorialità”. Non sarà stato casuale, forse, che qualcuno abbia deciso di far cambiare scuola ai propri figli. In un’elementare ebolitana c’è stata poi una maestra che ha assegnato compiti per il periodo di Natale consegnando agli alunni un libercolo di circa 15 pagine sul significato della festa all’interno del quale non c’è alcun riferimento a ciò che il Natale è e che non può non essere: cioè, la parola Gesù è abolita, non la trovi in nessun rigo, mai, mentre si ammicca spesso a stupidaggini “green” e “umanitarie”; men che meno si trovano quelli di Giuseppe e Maria, la grotta e la mangiatoia figuriamoci, gli auguri «che si fanno a fare» – testuale – «visto che dovremmo farceli tutti i giorni?». Roba new-age, stile “Un sacco bello” insomma. La fede – che pure sarebbe argomento potente – non c’entra, qui si tratta di imparare a leggere la realtà, ciò che ci si aspetta insegnino nelle scuole: parlare di Natale senza dire cosa e perché lo si festeggia è come dire che lo scorso anno a Napoli hanno fatto una fantastica festa collettiva ma senza spiegare che la squadra cittadina aveva vinto il campionato di calcio.
Curia silente
A riprova di come tutto si tenga, questo giornale nelle scorse settimane ha contattato l’ufficio stampa della curia di Salerno per un’intervista all’arcivescovo Bellandi all’indomani della dichiarazione della Congregazione per la dottrina della fede (ex Sant’Uffizio) detta “Fiducia supplicans”, la famigerata benedizione delle coppie irregolari e/o omosessuali che sta terremotando, giustamente, la Chiesa di Roma. La curia non ha declinato l’invito, semplicemente non ha risposto. Non era obbligata, è indubbio. Poi, opportunamente indirizzati, abbiamo intuito, forse, il perché: l’arcivescovo aveva già parlato sul tema in una video-intervista, dalla quale s’è capito un po’ meglio il clima che si respira nell’ultima istituzione seria in circolazione. Bellandi, absit iniuria verbis, ha argomentato un sì-che-è-pure-no-ma-in-fondo-è-sì, quasi fosse un gesuita à la Bergoglio o “Tucho” Fernandez (il nuovo prefetto del dicastero), tradendo un comprensibile imbarazzo, somigliante a una resa ai capricci del mondo.