Non più solo custodi del passato, ma protagonisti del futuro del Paese. L’archeologo italiano di oggi è un professionista altamente qualificato, capace di coniugare ricerca, tutela e sviluppo territoriale. Una figura che si è evoluta profondamente negli ultimi dieci anni e che, dopo decenni di precarietà e mancato riconoscimento, ha conquistato dignità normativa e nuove opportunità, ma si trova ora a dover affrontare sfide decisive per il proprio futuro. È questo il quadro tracciato da ANA – Associazione Nazionale Archeologi, presente alla XXVII Borsa Mediterranea del Turismo Archeologico di Paestum dove nella giornata di sabato 1 novembre, organizzerà la tavola rotonda “Professione in movimento: nuove rotte per l’archeologia italiana” alla quale parteciperanno la presidente di ANA, Marcella Giorgio, il presidente di Confprofessioni, Marco Natali, il presidente di Confprofessioni Campania, Francesco Mazzella, Luigi Malnati del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali, Alessandro D’Alessio direttore del Parco archeologico di Ostia Antica e Roberto Perna Università di Macerata. Un incontro che servirà a fare il punto sull’evoluzione della professione, a partire dal volume che racchiude una sintesi degli Stati Generali dell’Archeologia Italiana 2024 dal titolo “Archeologia oggi: tra nodi aperti e sfide future”, edito con la casa editrice All’Insegna del Giglio proprio in questi giorni e presentato per la prima volta proprio in questa sede. All’interno della BMTA di Paestum l’Associazione Nazionale Archeologi sarà anche protagonista del panel di ArcheoImprese “Un protocollo per la sicurezza in Archeologia Preventiva”, che svilupperà il tema della sicurezza nei cantieri. L’EVOLUZIONE DELLA PROFESSIONE – Oggi il 94% degli archeologi italiani possiede una laurea magistrale, ed oltre il 70% ha completato un percorso post-laurea, ma solo il 25% lavora nel settore pubblico: una rivoluzione silenziosa che ha spostato il baricentro della professione verso il mondo delle imprese e della libera professione. Dal 2011 al 2024, la percentuale di archeologi con partita IVA è raddoppiata, passando dal 27% al 50%. E i compensi sono cresciuti: se nel 2011 il 59% guadagnava meno di 15.000 euro l’anno, oggi il 49% dichiara tra i 12.000 e 24.000 euro annui, mentre il 38% supera i 24.000 euro, con punte oltre i 48.000. UNA PROFESSIONE IPER-FORMATA CHE ARRIVA TARDI AL LAVORO – Ma c’è un paradosso: nonostante l’archeologo italiano sia forse il professionista più formato del panorama nazionale, l’ingresso nel mondo del lavoro avviene spesso dopo i 30 anni, con conseguente frustrazione professionale per chi, dopo anni di studio, si trova a svolgere mansioni di livello inferiore alle proprie competenze. Troppo spesso, inoltre, la formazione accademica non prepara adeguatamente al mercato del lavoro reale, producendo ricercatori eccellenti ma professionisti impreparati alle sfide operative quotidiane. LE CRITICITÀ NORMATIVE: UN CODICE VECCHIO DI QUASI UN SECOLO – Uno dei nodi più urgenti da sciogliere riguarda la necessità di riscrivere il Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio (D.Lgs. 42/2004), ancora troppo ancorato alla logica del “bene-oggetto”, ereditata dalla legge del 1939, piuttosto che al concetto moderno di “contesto archeologico”. Una visione superata che crea difficoltà operative e interpretative, soprattutto nell’ambito dell’archeologia preventiva. Un’altra criticità riguarda la discriminazione tra opere pubbliche e private: mentre per le prime esistono procedure chiare di verifica archeologica preventiva, per le seconde si resta ancorati alla logica ottocentesca del “rinvenimento fortuito”, con tutti i costi a carico dei privati e senza agevolazioni fiscali. L’ARCHEOLOGIA PREVENTIVA: UNA RIVOLUZIONE INCOMPIUTA – L’introduzione dell’archeologia preventiva ha rappresentato una vera e propria svolta per il settore. Oggi infatti è considerata uno strumento fondamentale per conciliare sviluppo infrastrutturale e tutela del patrimonio archeologico italiano. Tuttavia è necessario estenderla anche al settore privato, prevedendo incentivi e defiscalizzazioni. Grazie alla sua introduzione è cambiato notevolmente il ruolo dell’archeologo, oggi sempre più vicino a rappresentare un consulente e mediatore tra istituzioni e progettisti, per verificare in anticipo la presenza di siti archeologici sui cantieri. Le sfide principali in questo ambito restano tuttavia la formazione ancora insufficiente e la scarsa applicazione della normativa da parte degli enti locali, spesso frenata da pregiudizi e mancanza di aggiornamento tecnico. LE SFIDE DEL FUTURO – Nel focus di ANA sulla professione sono state analizzate anche quelle che saranno le sfide emergenti. In questo sento l’Intelligenza Artificiale sta rivoluzionando analisi e gestione dei dati archeologici, ma serve una formazione adeguata per governarla. C’è poi il la questione legata alla citizen science (collaborazione attiva tra scienziati professionisti e cittadini per svolgere attività di ricerca scientifica) che apre a nuove possibilità di coinvolgimento, ma pone questioni etiche e metodologiche. “Abbiamo superato la fase in cui esistevano archeologi di serie A, B e C- spiega Marcella Giorgio, Presidente ANA – oggi siamo tutti professionisti, indipendentemente dall’ambito in cui operiamo. Ma per consolidare questa conquista servono scelte coraggiose: riformare la formazione universitaria, aggiornare il Codice dei Beni Culturali, garantire compensi adeguati, strutturare l’aggiornamento professionale, rafforzare il coordinamento istituzionale. L’archeologia italiana è a una svolta, ha conquistato riconoscimento e opportunità, ma deve ora costruire un sistema sostenibile, che valorizzi le competenze, tuteli il patrimonio e sappia dialogare con una società in rapido cambiamento. Il futuro della disciplina dipenderà dalla capacità di trasformare le sfide attuali in opportunità per le prossime generazioni”.





