di Carmine LANDI
BATTIPAGLIA. “Battipaglia non è terra di camorra”. Negli ultimi mesi, in città, il ritornello è divenuto un vero e proprio tormentone, un’edulcorata negazione che suona quasi come un azzardato coaching automotivazionale: tra il “non fa male!” di Rocky IV, il discorso di Al Pacino negli spogliatoi di “Ogni maledetta domenica” e il battipagliese “qui non esiste la camorra”, insomma, non c’è alcuna differenza. Anzi, ce n’è una, e neppure di poco conto: nei primi due casi, infatti, il riferimento è alla fervida fantasia di qualche sceneggiatore, mentre in città l’accorato “non sumus” è uno speranzoso tentativo di fuga da un’amarissima realtà.
I tre affiliati al clan De Feo, arrestati all’alba di ieri in seguito ai frequenti tentativi d’estorsione di contributi a beneficio degli “amici carcerati”, dunque, rappresentano gli ennesimi nominativi che vanno ad aggiungersi alla lunghissima sfilza di delinquenti associati alla criminalità organizzata locale; le manette che hanno cinto quei sei polsi testimoniano eloquentemente lo strapotere dei cartelli camorristici in questo lembo di terra che circonda il fiume Sele.
La culla del clan De Feo è la graziosa Bellizzi; il capostipite è Pasquale De Feo, che al momento, dopo aver soggiornato all’interno di numerose carceri italiani, si trova in ergastolo ostativo dietro le sbarre del circondario di Catanzaro; gli anni d’oro sono i fabulous Eighties, quando, dopo essersi intrecciata al cartello Marandino, la famiglia bellizzese s’affilia alla Nuova Camorra Organizzata di Raffaele Cutolo.
Piana del Sele, pistole, panette, pizzo, prostituzione, patrimonio prorompente, predominio: le “p” dei De Feo sembrano non conoscer sosta, e il clan bellizzese stende la mano sull’intera zona che va dai Picentini al Cilento. Poi, però, le “p” iniziano a divenire avverse: nel picentino arrivano i Pecoraro, guidati da Giovanni, che nella seconda metà degli anni Ottanta iniziano a sottrarre ampie fette di territorio ai De Feo affiliandosi alla Nuova Famiglia, capeggiata da Carmine Alfieri, dopo essersi uniti ai Maiale – il cui capo, Giovanni, nel frattempo, ha abbandonato la NCO per sposare la causa delinquenziale del nuovo boss – che prendono il controllo della zona che va da Eboli al basso Cilento.
Nel napoletano, ‘O professore ‘e Vesuviano e ‘o ntufato iniziano a farsi la guerra; nei territori che circondano Battipaglia, le cosche che si contrappongono in nome dei boss partenopei sono proprio De Feo-Marandino e Pecoraro-Maiale. Nel settembre del 1988, il cartello dei De Feo riesce a far fuori Giovanni Pecoraro: dovrebbe essere il trionfo per il clan di Bellizzi, ma in realtà la famiglia finisce per farsi terra bruciata attorno, finendo decimata per via degli attacchi dei Maiale e di Alfonso Pecoraro – fratello di Giovanni e nuovo boss del clan battipagliese – e delle continue azioni poliziesche dei Carabinieri. E proprio due carabinieri, il 23enne Fortunato Arena e il 29enne Claudio Pezzuto, il 12 febbraio del 1992, finiscono per legare sempiternamente, loro malgrado, il proprio nome alla cosca dei cutoliani bellizzesi: i due militari dell’Arma, infatti, vengono freddati da Carmine De Feo, fratello di Pasquale, e da Carmine D’Alessio; i due tutori della legge avevano chiesto i documenti ai delinquenti durante un posto di blocco a Faiano. Il clan De Feo sale alla ribalta della cronaca nazionale: dopo cinque mesi di latitanza – si fa per dire, dal momento che i due erano rimasti sempre nello stesso appartamento di Calvanico – i due Carmine vengono tratti in arresto; nello stesso anno, Pasquale finisce al 41bis per via dell’assassinio del boss rivale di qualche anno prima. Il potere è completamente nelle mani dei Maiale-Pecoraro.
Per il boss dei De Feo arriva l’ergastolo ostativo; ciononostante, Pasquale continua a tessere le trame della rivalsa, e riesce a timonare ancora la famiglia: che sia in una cella di Sulmona, o di Parma, o di Catanzaro – dove attualmente è rinchiuso – il capoclan attende l’occasione propizia per riprendere il potere tra le mani.
Dopo quasi dieci anni, nel 2001, la chance sembra essere finalmente arrivata: ad aprile, infatti, 15 influenti membri del clan rivale Pecoraro-Renna finiscono dietro le sbarre a seguito di una retata dei carabinieri; Pasquale De Feo, che non ha più alle spalle la NCO, frantumatasi dietro l’avanzare degli Alfieri prima e dei Casalesi poi, approfitta dei contatti intessuti con i potenti ‘ndranghetisti della Locride per far arrivare dal sud-America enormi quantitativi di droga da rivendere nella Valle del Sele: Battipaglia, Bellizzi, Pontecagnano, ma anche Eboli, Capaccio, Agropoli. I sogni di gloria, però, durano poco più di un anno: nell’agosto del 2002, infatti, i fratelli del capoclan, i bellizzesi Antonio e Vito De Feo, il battipagliese Francesco Ingarra (NELLA FOTO) – che ieri è finito ancora una volta in carcere – e il montecorvinese Gerardo Petrillo vengono tratti in arresto dai carabinieri, che in questo modo assicurano alla giustizia la tetrarchia di spicco della cosca.
I De Feo, tuttavia, continuano a dominare la Piana del Sele, e continuano a contendersi il potere con gli eterni nemici, i Pecoraro-Renna: la famiglia trae la maggior parte delle risorse dalla droga – soltanto il 15 gennaio scorso era stato tratto in arresto a Bellizzi, in pieno centro, il pusher 33enne Abramo De Feo – e dalle estorsioni, come testimoniato dai tre arresti di ieri.
Ci sarebbe tanto altro da scrivere, ma le colonne di un quotidiano non consentono di dilungarsi ulteriormente: è solo una microstoria per sommi – quasi radi – capi di un clan che continua a far sentire il suo peso in una città dove “non c’è la camorra”. E dove, ogni anno, è Babbo Natale a portare i doni ai bambini in sella a una slitta volante. E dove, allo scoccar d’ogni mezzanotte, i carri fatati si tramutano in zucche. Zucche vuote?