di Angelo Dente*
E’ stata pubblicata nella tarda mattinata di ieri la decisone del Consiglio Nazionale Forense con la quale l’organo nazionale di autogoverno della classe forense ha respinto il ricorso presentato da taluni avvocati del foro salernitano che, sconfitti sul campo perché non eletti al Consiglio dell’Ordine, avevano pensato ad una virtuale rivincita chiedendo al CNF – nella sua funzione di organo giurisdizionale ex art.36 della legge 31 dicembre 2012 n. 247 – di dichiarare l’attuale presidente, avv. Gaetano Paolino, incandidabile e, conseguentemente, ineleggibile alla carica di consigliere. Nonostante un infruttuoso assist a loro fornito da un distratto (per usare un eufemismo) P.G. che al termine della sua requisitoria aveva concluso per l’accoglimento del ricorso, i delusi ricorrenti ( quelli reali e quelli occulti anche se questi ultimi sono oramai venuti allo scoperto ) – che verosimilmente erano ben consapevoli che la sorte della loro azione sarebbe terminata come lo strillo stonato delle slot quando preannuncia il Try again you will be luckier ( ritenta sarai più fortunato! ) – quasi sicuramente si avvarranno della seconda chance che il sistema concede loro, proponendo reclamo innanzi alla Corte di Cassazione, e ciò perché ancor prima che la sentenza fosse emanata taluni non firmatari il ricorso, ma che comunque – a loro dire – lo condividevano, avevano già preannunciato la seconda istanza innanzi alla Suprema Corte “…nel caso in cui il Cnf dovesse dar ragione all’avv.Paolino…” . La speranza è ora quella di trovare in seconda battuta non solo un altrettanto disattento (sempre con eufemismo) P.G., ma soprattutto un Collegio che sia incline, attraverso una precisa operazione di ortopedia giuridica, a superare in souplesse l’orientamento consolidato che, sull’argomento, il Supremo Collegio a Sezioni Unite ha già ripetutamente espresso e che il Cnf ha recepito nella ampia e dettagliata motivazione. Fin qui degli aspetti sostanziali della vicenda. C’è poi la dietrologia che è di tutt’altra natura e significato. Posto che continua a non essere digerita la sonora e umiliante debacle subita, qualcuno degli sconfitti, che si è autodefinito come appartenente alla c.d. opposizione, si è lamentato perché l’avergli attribuito la qualità di “sottoscrittore occulto” del ricorso non corrisponde a verità. Ricorro ad Euripide – secondo cui “la verità ha un linguaggio semplice e non bisogna complicarlo” – per sottolineare come la celata qualità sia, invece, venuta alla luce con la condotta processuale dei ricorrenti i quali, patrocinati da collega estranea al consiglio (avv. Maura De Angelis), hanno consentito che quest’ultima delegasse la discussione del ricorso ad un componente del consiglio stesso mettendo così in evidenza “la verità con linguaggio semplice”. Va da sé che il comportamento del delegato – che se non investe profili di deontologia professionale, apparendo presumibile un conflitto d’interessi, sicuramente denota la mancanza di quella prudenza richiesta a tutela della dignità cui deve ispirarsi l’esercizio della professione – costituisce la “prova provata” sul reale profilo dei ricorrenti, vale a dire di coloro ai quali il democratico verdetto delle urne non risulta gradito e, dunque, bisogna sovvertirlo con ogni mezzo. A costoro – che si erano spinti fino ad affermare pubblicamente: “ho rappresentato con chiarezza all’avv. Paolino il perché è incandidabile” – andrebbe consigliata la lettura di qualche romanzo di Tom Stoppard – drammaturgo e regista inglese – il quale in uno dei suoi sarcastici scritti diceva che: “Non è il voto la democrazia, ma il conteggio”. La vicenda avrà certamente un inevitabile prosieguo perché continueranno i polemici articoli di stampa che qualcuno con monotona e puntuale cadenza si ostina tutt’ora a “confezionare” e ad inviare al “giornale amico” e, se non bastasse, i social saranno riempiti di pungenti “storie” con le quali i valenti giuristi componenti l’opposizione, con dire quasi minaccioso, rivolgeranno al consiglio il ripetitivo invito ad agire con trasparenza e “ad assumersi le proprie responsabilità”. Al di là della mancanza di puntualità linguistica – posto che un giurista dovrebbe sapere che le responsabilità non si assumono, ma ad esse si soggiace perché così stabilisce la legge ed il volontario accollo non è possibile e se lo fosse il tema andrebbe approfondito – il rischio è di offrire a tutta la classe forense la legittima sensazione che il locale organo di autogoverno, in luogo di operare per garantire tutela e dignità ai propri iscritti, impieghi il tempo per dirimere rancori personali tra i suoi componenti mai sopiti ma, anzi, inaspriti dal risultato elettorale. Per sfatare questo dubbio è tempo che qualcuno smetta di rimanere “seduto” sulle proprie posizioni e si convinca che la partecipazione alla competizione elettorale forense non è finalizzata a “controllare” o a fare “opposizione alla singola persona”, ma ad analizzare, comprendere e possibilmente risolvere i problemi dell’intera avvocatura dei quali si avvertono oggi sintomi inconfondibili. C’è, dunque, un urgente bisogno di “alzarsi” in piedi innanzi al valore della toga che si indossa e comprendere che essa non è un semplice abito per identificare chi svolge la professione di avvocato, ma è molto di più, perché racchiude in sé molteplici significati: Toga significa buon senso e umiltà, equilibrio e rispetto, professionalità e ricerca di verità e giustizia, essere e non apparire! Insomma come già da tempo auspicava un autorevole giurista, Antonio Cristiani, in un suo simpatico scritto (La bilancia delle illusioni, in Collana Diritto&Rovescio, Giuffrè, 1995 ) “…C’è bisogno di un preliminare esame di coscienza di tutta la categoria nella ricerca degli ostacoli da rimuovere e delle iniziative da favorire affinché l’avvocatura si risollevi da un incombente declino….” Ma in quanti hanno letto gli scritti del prof.Cristiani?
*Avvocato componente del Consiglio dell’Ordine
degli Avvocati di Salerno