di Monica De Santis
Il sogno di un bambino di giocare a calcio e diventare bravo come il suo mito Pelè, il sogno che si infrange a causa di un brutto incidente, poi l’inizio della carriera di modello e i grandi stilisti, come Valentino, Armani e Versace che se lo contendono, poi il cinema, il successo, gli eccessi, la caduta e la ripresa. E’ questa in sintesi la vita di Urs Althaus, conosciuto in Italia come Aristoteles, il giocatore brasiliano che riuscì a salvare la Longobarda allenata da Oronzo Canà (alias Lino Banfi) dalla retrocessione, che lui stesso racconta nel libro “Io, Aristoteles, negro svizzero”, presentato ieri pomeriggio Salone di Rappresentanza del Palazzo di Provincia, per un incontro voluto da “Il Bello dello Sport” e l’ “Associazione Sportiva Dilettantistica Longobarda Salerno”, squadra di calcio salernitana, nata proprio dopo l’uscita del film divenuto un cult. Urs, maschile di Ursula, come ci tiene a spiegare l’attore, arriva puntualissimo alla presentazione. Giacca di pelle e jeans non si nega ai tanti accorsi ad incontrarlo. Foto e autografi, oltre al racconto di aneddoti e storie legate al celebre film. A differenza di molti attori a lui non dispiace essere riconosciuto e ricordato solo per aver vestito i panni di Aristoteles… “Torno in Italia almeno una volta all’anno, per le vacanze – racconta Urs Althaus – e per tutti sono Aristoteles, nessuno mi chiama con il mio nome, solo pochissime persone. Ma va bene così. Se dopo più di 30 anni dall’uscita del film le persone mi riconoscono è proprio per il personaggio che ho interpretato e allora perchè rinnegarlo”. Ama l’Italia e non lo nasconde, come non nasconde di essere rimasto affascinato da Salerno… “Bella città, siete fortunati, avete il mare, ma non solo Salerno è bella, ho visto anche Amalfi ed è stupenda. Poi le persone sono così gentili. Ieri (venerdì per chi legge, n.d.r.) ero a cena in un ristorante e dopo un po’ tantissime persone si sono avvicinate per una foto, non mi aspettavo tanto affetto”. Racconta anche che per lui è stata cantata la canzoncina intonata da Banfi per farlo addormentare… “Un bel regalo che non mi aspettavo”, poi parla del legame con l’attore pugliese, con il quale ha recitato anche ne “L’allenatore nel pallone 2” e in “Un medico in famiglia”… “Lino è una persona speciale, ci sentiamo, anche se non troppo spesso, lui adesso si sta dedicando alla moglie che non sta troppo bene. L’ultima volta che ci siamo visti è stato tre mesi fa, quando si è collegato da Bari per partecipare ad una delle presentazioni del mio libro. E’ stato un grande onore. E’ stato lui a volermi ne ‘L’allenatore nel pallone’ e a lui devo dire grazie se ancora oggi in Italia le persone mi vogliono così bene. Ricordo la prima volta che ci siamo incontrati, cercava di spiegarmi chi era, che film aveva fatto e che film avremmo fatto insieme”. Un’amicizia nata sul set e che prosegue ancora oggi quella con Lino Banfi… “E’ stato bello interpretare il ruolo del calciatore, da bambino sognavo di essere come Pelè, poi l’incidente mi ha impedito di realizzare il mio sogno. Così ho iniziato a fare il modello. In quegli anni, erano davvero pochissimi i modelli di colore, io sono stato uno dei primi. Ho viaggiato molto, sono stati spessissimo in America, soprattutto a New York, regno della moda, e conosciuto tantissime persone e tantissimi stilisti famosi, ho lavorato quasi per tutti i più grandi marchi della moda maschile. E’ stata un’esperienza incredibile. Poi è arrivato il cinema e poi anche gli errori. Ho fatto uso di droghe. Ho sbagliato, ho perso tutto quello che avevo ottenuto nella vita. Risalire non è stato facile, ma ci sono riuscito. Oggi continuo a fare l’attore ed anche l’imprenditore e sono felice”. Una vita fatta di gioie e dolori, di scelte giuste e sbagliate, ma anche di sofferenza per il colore della sua pelle… “Non sempre è stato facile, a volte l’essere negro mi ha penalizzato. Anche questo racconto nel mio libro, perchè purtroppo ancora oggi, non tutti accettano le persone di colore come me”. Un libro, anzi una biografia lucida ed anticonformista, proprio come scritto nel retro della copertina, “nuda e cruda, senza veli ed ipocrisie, che regala il ritratto a 360° di un uomo che ha provato sulla sua pelle il razzismo strisciante e sprezzante del jet set, i festini e gli eccessi della New York degli anni ‘80, le luci della ribaltà di set cinematografici prestigiosi e quelle delle pallide produzioni scalcinate, il turbinio delle droghe sintetiche e la paura di perdere gli affetti più cari a causa di un incubo chiamato Aids. Una vita calcidoscopica che Urs Althaus racconta con venata malinconia, amara ironia e lucido disincanto, partendo dalla sua infanzia e arrivando ai giorni nostri, offrendo al lettore un percorso esistenziale corredato da clamorose discese e altrettante vertiginose salite”.