di Erika Noschese
È il 2013. Fine agosto. Nelle radio impazzano i successi più disparati dell’estate: scende in classifica la hit di Alex Britti, “Baciami (e portami a ballare)”, subito sotto c’è Max Gazzè con “I tuoi maledettissimi impegni” e tanto di videoclip girato nell’Università degli studi di Salerno, mentre sale in classifica Avicii, al top con “Wake me up”. Resiste quello che resta un evergreen figlio degli anni Dieci: “Get lucky”, dei Daft Punk, insieme alla iconica “Alfonso” di Levante e al pezzo di Clementino “’o vient”. Tra queste e tante altre canzoni, viene fuori un pezzo clamoroso di un artista tra i migliori del panorama musicale italiano. Si tratta di “En e Xanax”, di Samuele Bersani. “In due si può lottare come dei giganti contro ogni dolore, e su di me puoi contare per una rivoluzione. Tu hai l’anima che io vorrei avere”. Una canzone struggente, che affronta un tema – già dal titolo – molto complicato: quello dell’uso e dell’abuso di sostanze psicotrope. Il coraggio di affrontare un tema così difficile in soli tre minuti è da elogiare, soprattutto vista l’eleganza metrica e ritmica del pezzo: inutile dire che non arrivò mai in cima alle classifiche, ma per Bersani c’è poco di cui sorprendersi. I suoi pezzi entrano nella storia, non nelle hit parade. Il tema dell’abuso di sostanze psicoattive tra gli adolescenti, quindi, è ben noto e trova spazio in pochi, coraggiosi pezzi d’arte. Oggi, dopo 10 anni, la strada intrapresa è ancora la stessa: a confermarlo è Angelo Rega, tesoriere e consigliere dell’ordine regionale degli psicologi della Campania.
Partiamo dagli psicofarmaci.
«Sappiamo che attualmente c’è un allarme sul discorso: gli adolescenti stanno iniziando a utilizzare gli psicofarmaci come una droga. Qui assistiamo a una certa divisione: normalmente, quando un adolescente viene a un colloquio, la cosa di cui più ha più paura è proprio l’uso degli psicofarmaci. Quando ha un momendo di fragilità, l’adolescente vuole affrontarlo solo atraverso la terapia. Quando invece si trova in una condizione di divertimento, di “sballo”, gli sembra quasi più lecito utilizzare lo psicofarmaco a tal scopo».
Perché?
«Sicuramente lo psicofarmaco è più facilmente accessibile: l’adolescente che fa uso di sostanze, alcol, nicotina o altre sostanze psicoattive, ha come fine ultimo quello di sballarsi. La natura della sostanza, cannabinoidi o pasticca o psicofarmaco o cocaina, poco gli cambia, purché possa arrivare allo scopo di sballarsi. Inoltre, lo psicofarmaco lo si può trovare già a casa della nonna o nell’armadietto dei farmaci dei propri genitori».
Come si traduce questo abuso?
«I giovani, molto smaliziati, hanno accesso non soltanto al classico sistema internet, ma anche ai gruppi Telegram più nascosti o al darkweb: lì trovano tutte le istruzioni per miscelare gli psicofarmaci affinché questi possano diventare una droga, quindi una sostanza maggiormente psicoattiva. Questo accade nella maggior parte dei casi. D’altro canto, c’è un dato statistico che orientativamente annuncia che il 40% degli adolescenti che utilizzava psicofarmaci per sballarsi, lo faceva perhcé li trovava agevolmente a casa. Alcuni di questi prodotti, addirittura, sono disponibili tranquillamente in internet. Dunque, non essendoci controlli per garantire che l’acquirente sia maggiorenne, si crea un disagio. Queste sostanze poi vengono miscelate, non solo nelle quantità che possono diventare pereicolose e possono portare anche alla morte, ma anche con altre sostanze. Si arriva a casi molto gravi che portano anche al decesso».
Sono davvero così diffuse, queste sostanze?
«Parliamo di farmaci per dormire che si trovano agevolmente a casa, di sostanze per stabilizzare l’umore o per la dieta e di sostanze per aumentare la concentrazione. Sono tutti farmaci che noi troviamo normalmente nelle case degli italiani. Miscelate con sostanze molto semplici, come bibite energetiche, possono favorire lo sballo».
Come intervenire?
«Vanno fatti due tipi di informazione: anzitutto sul livello genitoriale, e poi una sensibilizzazione nelle scuole. Bisogna spiegare che quel farmaco, nonostante sia stato ritrovato nella cassetta dei farmaci di casa accanto alla Tachipirina, è una droga. Anzi, sappiamo che molti adolescenti sviluppano proprio forme di psicodipendenza da queste sostanze».
Anche in Campania, quindi.
«Sicuramente sappiamo che in Campania, sotto certi aspetti, si registrano questi problemi. Ma, per quanto riguarda la sensibilizzazione e la prevenzione tramite supporto psicologico, possiamo definirci regione virtuosa. Gli adolescenti sono sufficientemente sensibilizzati: siamo stati la seconda regione d’Italia per supporto psicologico scolastico. Inoltre, è presente la possibilità di accedere a supporti psicologici specifici tramite protocolli messi in campo dalla Regione, quindi la situazione è ben considerata anche a livello istituzionale».
Qual è la sostanza più (ab)usata dai giovani, in Campania?
«Sulle dipendenze in generale, fuori dal classico contenitore degli psicofarmaci: vediamo, a macchia italiana, un maggiore utilizzo di alcol come sostanza psicoattiva e non di droghe, come nel nostro immaginario collettivo. L’adolescente fa molto più uso di alcol e molto meno di sostanze psicoattive come s’immaginava un tempo. Sicuramente esistono anche dipendenze da cocaina e altre sostanze, ma la prima componente a cui si ha accesso è l’alcol. Questo è il dato che risulta essere allarmante: oggi l’alcol è accettato socialmente e si può trovare tranquillamente dentro e fuori casa, Questa componente ci fa allarmare e non poco. Laddove si sviluppa dipendenza da alcol, non è detto che sia meno severa di una dipendenza da farmaci, psicofarmaci o altre sostanze psicoattive come droghe».
C’è anche una forte dipendenza dal virtuale. Cresce sempre più la polemica sulle applicazioni di intelligenza artificiale che incitano al sexting o al suicidio.
«Su questo c’è una considerazione da fare: la polvere da sparo posso usarla per farci fuochi d’artificio o per fare un attentato. Abbiamo a disposizione una tecnologia di intelligenza artificiale che è esattamente come la polvere da sparo. Dobbiamo considerare che gli adolescenti debbano essere educati su questi temi, perché fanno parte della loro vita, bisogna dargli anche un’educazione tecnologica. Il problema è che si mettono gli adolescenti sotto la lente d’ingrandimento: bisogna farlo con le varie istituzioni che devono prepararsi per offrire questa natura educativa. L’adolescente è in fase educativa ed esplorativa, ma se nessuno lo erudisce sui pericoli del darkweb, del sexting, dell’intelligenza artificiale, allora per sua stessa natura proverà ad esplorare quel mondo».
Entrando in un vortice infinito di rischi. Basti pensare al caso storico della “blue whale challenge”.
«Mentre il mondo dell’amicizia ha sempre un confine, come anche l’alcol, queste tecnologie non hanno confine alcuno: si può chattare con un’intelligenza artificiale, programmata da persone sicuramente criminali, perché quell’intelligenza è fatta per portarti a giocare con la morte, e naturalmente nessun adolescente è erudito per sfuggire a quel pericolo. La rete è infinita: ci puoi trovare di tutto, dal pedofilo all’assassino, dal sadico che si diverte a farti giocare con la morte, ma dietro c’è un criminale. Bisogna erudire i figli e anche i genitori su questa cosa. La prima difficoltà è quella di non conoscere, quindi se ne dovrebbe parlare di più sui giornali, ai tg, facendo in modo che arrivino queste informazioni. Siamo bravi a parlare di cibo bio ma non sappiamo dirgli di non dare il cellulare ai propri figli a 8 anni».
Quindi l’intelligenza artificiale, come alcol e droga, è un male consolidato per i giovani e non solo.
«Non demonizziamo una tecnologia se poi non educhiamo all’utilizzo. L’intelligenza artificiale può essere programmata con bot che chiedono foto hot che poi vengono rivendute chissà dove, ma possiamo usarla anche per fare diagnosi di autismo, per analizzare dati e attivare strategie di prevenzione del tumore. Dobbiamo spingerci in questa direzione, ma a livello italiano. Serve che all’interno delle scuole si facciano corsi, per adolescenti e genitori. Se ci fossero veramente gli psicologi nelle scuole, in maniera strutturale, avremmo risolto il problema. Avremmo a che fare coi genitori, con le modalità di apprendimento e di approccio. Se si deciderà di mettere psicologi nelle scuole, avremo attività di prevenzione su dipendenze, suicidi, utilizzo di tecnologie fatte in modo totalmente diverso. Dobbiamo essere noi a non chiudere gli occhi. Non ci si può preoccupare solo quando si registra l’ennesimo suicidio: bisogna attivare strategie preventive. Inoltre, non sappiamo come evolverà sul nostro sistema cognitivo l’utilizzo degli smartphone».
In che senso?
«Ho fatto uno studio con un neuropsichiatra di Salerno, sul segnale fantasma: cioè quante volte gli adolescenti immaginavano che il cellulare stesse vibrando anche quando non lo fa, per immaginare quanto l’adolescente sia collegato a quel meccanismo. In molti si notava questa percezione falsa che il cellulare stesse vibrando. Significa che c’è una direzione dell’attenzione verso quella particolare cosa».